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Turismo e Covid, numero chiuso anche in montagna?

Non serve essere grandi esperti in turismo per notare come questa estate numerose località dell’arco alpino siano state prese d’assalto. Le code davanti alle seggiovie, le lunghe file di automobili incolonnate nelle strade di fondovalle e i parcheggi straripanti di automobili agli imbocchi dei sentieri: sono immagini dell’estate 2020. Anche dei territori orobici.

Per analizzare le ricadute della pandemia sul settore turistico, abbiamo chiesto lumi a Robert Seppi ex direttore dell’Azienda di Soggiorno e Turismo di Bolzano (carica che ha ricoperto per 28 anni) e ora consulente in management turistico territoriale.

Prima di prendere in esame le immagini appena descritte, cerchiamo di capire da dove arriviamo. «Nei primi anni del 2000 – spiega Seppi – abbiamo assistito a una mercificazione dell’esperienza turistica. Il confronto è stato spostato sul costo soprattutto da parte di organizzazioni estere in grado di offrire pacchetti volo+soggiorno a livelli molto competitivi. Offerte molto vantaggiose che hanno messo in difficoltà gli operatori del nostro Paese e reso accessibile la possibilità di scegliere ogni anno una destinazione diversa a scapito della fidelizzazione e dell’offerta turistica nazionale, pur capace di esprimere un livello qualitativo notevole».

Il turismo ai tempi della pandemia
Robert Seppi
La montagna al centro con la pandemia

Dopo anni difficili, la montagna ha avuto un indiscusso successo questa estate. «Questo si è verificato un po’ in tutto l’arco alpino – continua Seppi -. E per fortuna che la gente ha iniziato a riscoprire questi territori e a riconsiderarli come un luogo in cui trascorrere le proprie vacanze per ricaricarsi le pile: chi era solito a fare viaggi di 7-5 giorni a volte tornava più stressato di prima. Le persone ora hanno capito che le vacanze sono fatte anche per rigenerarsi e riscoprire il valore di un territorio. Un’occasione per vivere esperienze. Il lockdown ha evidentemente permesso alle persone di riflettere anche sul valore di una gita fuoriporta».

La pandemia ha reso evidenti altri fenomeni? «La vacanza è sempre di più un bene a cui gli italiani non vogliono rinunciare, anche ai tempi della pandemia, anche di fronte al rischio Coronavirus. La vacanza è diventato un bene di cittadinanza, non è più un segno di agiatezza. Corto o lungo, quasi tutti hanno in programma un periodo di vacanza. Spesso occasioni con cui cercare di vivere un sogno o realizzare un itinerario da tempo programmato».

Turismo e territorio in quale rapporto?

Il territorio deve cercare quindi di assecondare le aspettative; tuttavia le code o l’affollamento di alcune località evidentemente non corrispondono a quanto era stato immaginato prima della partenza. «La domanda che faccio sempre è questa: è il turismo che deve servire il territorio o è il territorio che deve servire il turismo? Se il territorio deve servire il turismo automaticamente perde la propria identità. E’ sempre quindi il turismo che deve essere a servizio del territorio, in quanto il turismo deve esserne a sostegno. Nei casi in cui si è verificato un sovraccarico, il rischio è che il territorio subisca il turismo dal punto di vista ambientale e di immagine. Non possiamo permetterci la delusione del visitatore che si aspettava il laghetto incontaminato e invece si trova la folla».

Numero chiuso, organizzazione delle prenotazioni? Qual è la via d’uscita? «Regolamentare senza castigare il turista. Una buona organizzazione al servizio dei visitatori è la migliore risposta. Anche in Alto Adige abbiamo dovuto mettere a disposizione bus navetta, gestire parcheggi e chiudere qualche strada. Si tratta tuttavia di mettere in campo un’intelligenza in grado di fare incontrare l’interesse dei visitatori e del territorio. Anche Internet può venire in nostro soccorso, pensiamo anche solo al meccanismo delle prenotazioni online».

Il prodotto turistico e le presenze

«La globalizzazione ha portato a considerare il turismo come un mero turismo dei numeri dove il successo, o insuccesso, turistico è rapportato – conclude Seppi – quasi esclusivamente agli arrivi e alle presenze turistiche registrate nel corso dell’anno mentre non vengono valutate e prese in considerazione la qualità del prodotto turistico e la soddisfazione degli ospiti. Il prodotto turistico è composto non solo dall’offerta della ricettività e dai servizi di accoglienza, ma comprende necessariamente anche l’offerta del prodotto turistico immateriale di un territorio, come il patrimonio ambientale, culturale e sociale. Quindi, quando si parla di sviluppo turistico di un territorio, si prende come riferimento solo il fattore economico e non quello del progresso turistico rapportato, come noto, alla qualità ambientale, al coinvolgimento della popolazione locale, all’offerta culturale, alla capacità organizzativa e gestionale turistica di un territorio».

In conclusione, se i numeri non sono quindi il nostro assillo e le chiusure ci spaventano, non ci resta che strutturare un’organizzazione capace di assorbire in modo elastico anche picchi della domanda, affinché anche un pulmino di servizio possa trasformarsi in un’esperienza

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