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Anche la Val Seriana protagonista nel libro “Imprese che resistono”

C’è anche la sofferenza e la resilienza delle imprese bergamasche e della Val Seriana nel libro fotografico #impresecheresistono. Un’iniziativa che si è proposta l’obiettivo di documentare il lavoro – e il non lavoro – degli imprenditori artigiani, durante il lockdown della primavera 2020.

Il libro – promosso dal gruppo dei fotografi aderenti a alla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) – sarà presentato online mercoledì 24 marzo alle 18. L’evento sarà trasmesso in diretta streaming sulla pagina Facebook facebook.com/ArtigianiVsCovid19 La presentazione sarà moderata da Guido Harari e interverranno i fotografi stessi che hanno preso parte al progetto.

Il libro nasce dal progetto fotografico #impresecheresistono – Artigiani vs Covid19 e vuole mostrare alcuni aspetti del lockdown. In particolare il dramma della cassa integrazione, la mancanza di liquidità, la trasformazione dei processi produttivi per adattarli alle normative sulla sanificazione, la rabbia verso le istituzioni. Ma ci sono anche le speranze di cambiamento, l’opportunità di trasformare l’emergenza in occasione di ripensare il business. E soprattutto la dignità del lavoro, la solidarietà tra persone, la consapevolezza di essere oggi più comunità di ieri.

«Ha un duplice valore fermare con uno scatto fotografico questo presente incerto, ma anche carico di speranze. – commenta Andreas Ikonomu, portavoce dei fotografi di Cna Lombardia – Un presente che tutti vivono al rallentatore, ma che mantiene un suo significato e che va compreso e documentato per una futura memoria e per una rielaborazione da parte di noi tutti negli anni a venire. Nella convinzione che l’Italia, l’artigianato e il made in Italy saranno più forti di questo virus e che insieme sarà possibile vincere anche questa difficile battaglia.

Cna Lombardia ha coinvolto una trentina di imprenditori iscritti all’associazione, rappresentativi di tutti i settori merceologici e attivi in diverse province lombarde. I fotografi professionisti, anch’essi iscritti a Cna, si sono recati ad aprile dello scorso anno presso le loro imprese – o, in alcuni casi, presso le loro abitazioni – per realizzare alcuni scatti, e testimoniare così l’attività – o l’inattività – in ottemperanza alle ordinanze in essere, durante le settimane in cui l’emergenza sanitaria è stata al suo apice.

Questi scatti sono poi confluiti in un’unica pubblicazione, realizzata con Cna Torino, Cna Friuli Venezia Giulia e Cna Toscana. Il libro che è stato stampato riunisce circa 200 scatti, realizzati da una quindicina di fotografi e riferiti a un’ottantina di imprese. Un prezioso racconto che restituisce riflessioni personali sul modo in cui è stata affrontata la crisi, e che al tempo stesso dipinge un quadro in molti casi uguale, a prescindere dalle persone e dai luoghi, perché questa pandemia è stata vissuta e affrontata in modi molto simili in tutto il Paese.

In Bergamasca hanno preso parte a questa iniziativa il fotografo Roberto Lapi e le imprese Algisi Restauri, NTB Nuova Tessitura Bosio e Creare Acconciature.

Algisi Restauri (foto Roberto Lapi)

La Algisi Restauri ha sede a Gorle «L’azienda, costituita da me, mia moglie e un dipendente, è nata due anni fa anche se sono 25 anni che faccio questo lavoro – spiega Leone Algisi -. Ci occupiamo di restauro ligneo, dipinti su tavola e tutto quanto riguarda il legno. Lavoriamo molto con committenza ecclesiastiche, abbiamo restaurato cori, altari lignei, sagrestie».

Con lo scoppio dell’emergenza, per oltre due mesi la ditta chiude e non ha introiti. »Noi ci siamo fermati qualche giorno prima che ci venisse imposto lo stop perché ci siamo ammalati entrambi», prosegue Algisi. Ora «bisognerà capire se il mercato ripartirà o no. Di certo il settore viene da anni di crisi pesantissima». Problemi particolari? «Abbiamo avuto problemi nella riscossione, anche per difficoltà oggettive dei creditori e per la difficoltà di comunicare con clienti chiusi o ammalati. Ma nessuno se n’è approfittato per non pagare».

Per un’azienda così, impossibile lo smart working: «Il lavoro è molto manuale, artigianale, tradizionale, non possiamo inventare nulla. Per fortuna, ho sentito molta solidarietà, arrivata da mezza Italia. Un cliente istituzionale, dopo averci detto che i pagamenti erano rimandati a data da destinarsi, ci ha richiamato per dirci che avrebbe avuto un occhio di riguardo per i fornitori bergamaschi». Dopo la crisi? «Dovremo reinventarci come Paese, ripensando al modo di vivere e di produrre. La pandemia ha rimesso in discussione il turbocapitalismo degli ultimi 20 anni»

Creare acconciature (foto Roberto Lapi)

“Creare acconciature” ha invece sede a Ranica. «Questa avventura è iniziata a metà febbraio, nell’aria c’era molta paura e la clientela si era ridotta. La nostra zona è confinante con Alzano Lombardo e a quella che doveva diventare zona rossa. Noi abbiamo chiuso il 9 marzo, con due giorni d’anticipo rispetto all’obbligo, e sono orgogliosa di quel gesto». Non è però facile ammetterlo per Tiziana Teani, classe 1961, in questo salone dal 1991. «Le clienti hanno capito tutte che l’emergenza era più importante di un taglio di capelli. Dopo tre mesi la situazione è molto pesante, ci aspettavamo sostegni che non sono arrivati. Ci siamo dotati di guanti, mascherine, kimono monouso, termometri, gel igienizzante. Chi entra deve avere la certezza di avere tutte le garanzie».

Le perdite sono forti: «Nel primo trimestre siamo alla metà del fatturato rispetto al 2019 e sui primi cinque mesi la caduta sarà del 70%. In Italia ci sono 135mila parrucchieri ed estetica, con 250mila addetti totali. È una buona fetta dell’economia e spero che faranno qualcosa per aiutarci. La sicurezza è fondamentale ma serve ripartire».

Nuove Tessiture Bosio (foto Roberto Lapi)

Infine, la Nuova Tessitura Bosio di Cazzano Sant’Andrea. Giuliano Bosio è nato nel 1962 ed è nel settore tessile da 40 anni. «Oggi ho 9 dipendenti, quasi tutti giovani. La nostra società ha circa 70 clienti e produciamo 2 milioni di chili di tessuto l’anno». L’11 marzo Bosio decide di chiudere l’azienda, «per preservare i miei dipendenti e le loro famiglie, consapevole che ci sarebbero stati grossi problemi anche se non pensavo sarebbero durati così tanto. I miei dipendenti hanno capito la situazione e che la salute è più importante del lavoro».

Il problema principale è stato gestire il fermo produttivo e i mancati pagamenti di alcuni clienti, anch’essi in difficoltà. «E anche noi abbiamo dovuto trasferire questo problema sui fornitori, che ci hanno concesso delle dilazioni o dei piani di rientro; altri invece sono stati più severi e non hanno accettato». Una stima delle perdite? «Il mio fatturato medio di 200-250 mila euro mensili si è azzerato. Manca all’appello mezzo milione di euro. In quei due mesi abbiamo sanificato uffici e produzione, e fatto tutto quel che CNA ci ha detto di fare. E lo ritengo una cosa positiva, servirà rigore nel tutelarsi a vicenda. Sarà anche tutto più pulito». All’inizio, conclude Bosio, le figlie, che lavorano con lui, «mi hanno additato come pesante e pauroso. Col tempo si sono accorte che la situazione non era così semplice. Ora mi auguro che lo Stato ci dia davvero una mano».

 

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