Riceve un’indennità mensile di maternità di soli 640 euro netti, invece dei circa 1.180 che pensava di vedersi erogare al mese, malgrado abbia sempre versato i contributi dovuti, non saltando mai un versamento, nemmeno in occasione del cambio di posto di lavoro: una neo mamma si è rivolta, lo scorso dicembre, allo Sportello Lavoratori Autonomi di Nidil Cgil di Bergamo, appena dopo la nascita della sua bambina, e si è ritrovata ad affrontare una sorpresa davvero amara.
«Ho lavorato fino al giorno stesso della data presunta del parto, conservando i cinque mesi di maternità per quando mia figlia sarebbe nata – racconta oggi A. T. che preferisce non indicare il suo nome completo -. Dal settembre del 2018 e fino al maggio 2024 ho lavorato come dipendente. Successivamente, per crescere professionalmente, ho deciso di rassegnare le dimissioni e di lavorare come Co.co.co altrove, per un altro datore di lavoro, sempre nel terzo settore e no profit, in cui già prima operavo».
«A. T. si aspettava di ricevere l’80% della media dello stipendio dell’ultimo anno (per cinque mesi), come accade per tutte le lavoratrici madri dipendenti, Co.co.co o Partita Iva che siano – spiega Massimiliano Regazzoni di Nidil Cgil di Bergamo che si occupa in particolare di autonomi. «Analizzando la sua situazione contributiva, però, abbiamo avuto una pessima sorpresa. La premessa è che risulta iscritta, oltre che ovviamente alla cassa Inps, anche alla Gestione Separata Inps sin dal 2011 dal momento che in passato aveva lavorato sporadicamente con contratti di collaborazione, l’ultimo dei quali risalente al 2022. Aveva versato dunque contributi in due diverse casse. Ora, una norma assolutamente anti-storica in tempi di frammentazione del lavoro e di precarietà a singhiozzo prevede che se una lavoratrice richiede la maternità da autonoma, i contributi versati all’Inps come dipendente non pesano ai fini del conteggio dell’indennità mensile, se ha già una posizione aperta in Gestione Separata. Cioè, risalendo ai 12 mesi precedenti il periodo indennizzabile, le sono stati conteggiati solo i contributi dei mesi di lavoro autonomo da maggio a dicembre 2024 (poi risuddivisi su tutto l’arco dell’anno, abbassandone di conseguenza gli importi mensili), e non anche quelli da gennaio a maggio dello stesso anno, lavorati come dipendente. Se la lavoratrice avesse aperto la Gestione Separata Inps contestualmente all’avvio del contratto da Co.co.co nel maggio 2024, avrebbe invece potuto contare su tutti i mesi di contributi versati, a cifra piena».
La norma a cui Regazzoni fa riferimento è quella contenuta in un decreto ministeriale dell’aprile 2002 e in due circolari Inps del luglio 2002 e del maggio 2023. Il nodo del conteggio iniquo della contribuzione ha avuto un impatto davvero pesante sulla vita quotidiana della neo-mamma.
«Il bilancio famigliare è cambiato, ovviamente il mio compagno deve coprire tutto ciò che manca. Ce la facciamo solo perché abbiamo dei risparmi. Con i 640 euro che ricevo copro praticamente solo la mia quota di mutuo. Non ho più soldi miei, eppure ho sempre tenuto molto alla mia autonomia – racconta lei -. Mi sento totalmente dipendente dal mio compagno, questo mi fa sentire a disagio. Poi in questi mesi abbiamo affrontato spese pensando di poter contare su importi di maternità più alti, dunque ci sono debiti. Da settembre dovremo sostenere le spese per l’asilo. A maggio sarò così costretta a tornare al lavoro per forza. Viviamo in una città che non è la nostra d’origine, dunque senza famigliari, senza nonni su cui poter contare, il che comporta i costi di una baby sitter. Non mi sento affatto garantita dallo Stato e dal sistema di welfare che anzi mi hanno tradito. Mi sento colpita da tutti i lati. Ho sempre lavorato, mai fatto pause, eppure in questo Paese se cambi mestiere per crescere a livello professionale vieni punito. Conosco altre donne che stringono i denti, restano in un ambiente lavorativo che non amano, che non le stimola, temendo di cambiare e di vedere peggiorare i loro contratti. Il paradosso è che una mia amica che ha lavorato molto meno di me negli ultimi anni, e dunque ha versato molti meno contributi, ora da disoccupata riceve un’indennità dagli importi non distanti dai miei».
Nidil Cgil chiede, dunque, al legislatore di modificare la norma: «In un’epoca di calo demografico e di precarietà lavorativa in cui è molto probabile che si abbia un passato di collaborazioni con annessa posizione aperta in Gestione Separata, chiediamo che quella norma venga annullata e che l’indennità di maternità si conteggi sui mesi effettivamente lavorati, indipendente da quale cassa si è utilizzata per versare i contributi relativi prosegue Regazzoni -. Quella norma non ha più senso nel 2025. Come Nidil Cgil continueremo a tenere alta l’attenzione sulla questione. È inaccettabile che una lavoratrice che ha sempre versato i contributi si veda stravolgere negativamente i bilanci famigliari e in definitiva anche la vita dall’arrivo di un figlio».
La denuncia di Nidil non si ferma qui: «Porremo la questione anche al Tavolo delle Professioni istituito dalla Cgil insieme ad alcune associazioni di professionisti. Chiederemo che venga discussa anche all’interno della Consulta del Lavoro autonomo presso il Cnel. Cercheremo di fare pressione sul legislatore affinché vengano ampliati diritti e tutele dei lavoratori autonomi, in materia di maternità e non solo. Perché per noi i diritti non devono stare in capo a un tipo specifico di contratto ma al singolo lavoratore», conclude il sindacalista.