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Scuola in presenza per i figli di lavoratori dei servizi pubblici essenziali, alla fine è arrivato il no

Con le scuole chiuse per l’emergenza varianti potranno seguire le lezioni in presenza solo gli alunni con disabilità o bisogni educativi speciali. Non i figli di lavoratori dei servizi pubblici essenziali. Questo quanto comunicato, tra domenica e ieri (lunedì 8 marzo), da Ministero dell’Istruzione e Regione Lombardia. Ma per arrivarci ci sono voluti quattro giorni, durante i quali grande è stata la confusione sotto il cielo.

Un efficace riassunto di quello che è successo lo ha fornito in una nota la Cgil di Bergamo. «Di giovedì 4 marzo è l’ordinanza (la n.714) con cui Regione Lombardia prevede, malgrado il territorio regionale non sia zona rossa, la sospensione della didattica in presenza per tutti gli ordini di scuola ad esclusione solo degli asili nido.  È accaduto dall’oggi al domani, mettendo nei guai le famiglie. Nel giro di poche ore, da Roma, una nota del capo dipartimento uscente al ministero dell’Istruzione, Max Bruschi, apre la possibilità di consentire ai figli dei lavoratori dei servizi cosiddetti essenziali di accedere alle lezioni in presenza».

E cos’è successo? «Per tutto il fine settimana, nel disorientamento dei dirigenti scolastici, tante famiglie hanno presentato richieste pressanti alle scuole di derogare alla disposizione regionale, sostenendo di essere lavoratori essenziali», spiega Elena Bernardini, segretaria generale della Flc Cgil (il sindacato della scuola) di Bergamo.

«Il giorno successivo, il 5 marzo, una lettera del presidente regionale Attilio Fontana e dell’assessore al Welfare Letizia Moratti chiede al Ministero della Salute di fare chiarezza su quali siano i servizi pubblici essenziali richiamati nella nota – prosegue la ricostruzione della Cgil -. Intanto fra sabato e domenica i dirigenti scolastici si sono attrezzati, senza avere alcuna indicazione chiara su come agire, per decidere chi ammettere in presenza o no. Alla fine, ieri sera (domenica 7 marzo, ndr), il Ministero dell’Istruzione ha diramato una nota in cui, in sostanza, smentisce la propria comunicazione precedente sui key workers, richiamando i contenuti del DPCM del 2 marzo, che prevede la possibilità di attività in presenza solo per i laboratori e per garantire l’inclusione scolastica degli alunni disabili e con bisogni educativi speciali».

Ieri pomeriggio anche Regione Lombardia ha diffuso una nota in cui non ha fatto altro che ribadire: «il Ministero dell’Istruzione, con proprie note, ha precisato che la possibilità di frequentare in presenza è “fatta salva qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”. Queste sono pertanto le uniche deroghe che possono essere previste per svolgere l’attività didattica in presenza».

Nel frattempo, però, ieri i figli di alcuni lavoratori dei “servizi pubblici essenziali” sono andati a scuola. Da oggi resteranno a casa. Famiglie che avevano pensato di organizzarsi in un modo costrette di nuovo a trovare altre soluzioni.

«La Regione ha preso un provvedimento sulla chiusura delle scuole senza verificare la possibilità di offrire sostegno alle famiglie e senza tenere conto delle conseguenze – commenta Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil di Bergamo -. Il ministero dell’Istruzione, da parte sua, ha diramato note contradditorie che si smentiscono l’una con l’altra, alimentando il caos. Rileviamo una completa mancanza di coordinamento tra Stato e Regione, e sottolineiamo anche come la Regione Lombardia, pur avendo sempre criticato i provvedimenti presi da un giorno all’altro dal precedente Governo, ora abbia fatto esattamente lo stesso. E ancora non si è colmata una lacuna grave: quella dei  rinnovi dei congedi parentali in caso di figli in quarantena o in DAD. La Regione che ha scelto di chiudere le scuole avrebbe potuto integrare direttamente, con misure regionali».

Al riguardo nei giorni scorsi la Cgil e la Flc-Cgil nazionali hanno scritto al Governo per sollecitare l’approvazione delle misure di sostegno ai lavoratori con figli in DAD o in quarantena. «La nota ministeriale di ieri sera (domenica, ndr), quella in cui si rettifica la comunicazione precedente sui lavoratori essenziali, riporta il focus del ministero dell’Istruzione al suo ambito di competenza: il problema dei genitori in difficoltà a conciliare lavoro e famiglia è un tema del welfare, un problema che la scuola non può risolvere. È necessario ricondurlo sul giusto binario, quello del sostegno ai lavoratori e alle lavoratrici», conclude Elena Bernardini.

«Soprattutto occorre farlo di fronte al cortocircuito tra limitazioni per la pandemia, necessità di lavorare e necessità di gestire i figli, un circolo vizioso che nel lockdown totale della scorsa primavera era meno marcato ed evidente, dal momento che molte attività produttive erano ferme, come la didattica in presenza. La scuola non può occuparsi del sostegno ai genitori. Resta il fatto che mai come in questa pandemia ci si è resi conto di come tutto sia interconnesso e che prima di chiudere gli istituti scolastici è sempre meglio pensarci due volte».

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