Notizie

Stipendi in Bergamasca, tra “vecchi” e “giovani” una differenza di quasi 15 mila euro

Troppa disparità, in provincia di Bergamo, tra gli stipendi dei lavoratori con più anzianità e quelli assunti da poco. Ci sono quasi quindicimila euro di differenza. Lo dice un’analisi dei dati del Caf (Centro di assistenza fiscale) della Cisl di Bergamo.

I dati 2022 fanno riferimento alle dichiarazioni dei redditi già inviate all’Agenzia delle Entrate al 7 luglio. I redditi sono quelli di lavoro dipendente assoggettati a Irpef ordinaria, quindi senza premi detassati o soggetti a imposta sostitutiva. Questi sono i redditi di chi fa la dichiarazione, comunque l’80% del totale dei dipendenti.

Già l’Istat nel suo Rapporto annuale 2022 indicava come le trasformazioni del mercato del lavoro abbiano portato a una decisa diminuzione del lavoro standard, cioè di quello individuato nei dipendenti a tempo indeterminato e negli autonomi con dipendenti, entrambi con orario a tempo pieno. Nel 2021 queste modalità di lavoro hanno riguardato il 59,5% del totale degli occupati. I dati sulle dichiarazioni fiscali sembrano avallarlo anche per la provincia di Bergamo, e tutto (o tanto) a danno dei lavoratori più giovani.

Nel 2019, il reddito medio di un lavoratori nato tra il 1953 e il 1969 è stato di quasi 28mila euro; 24.253 tra il ’70 e il 90, poco più di 17mila per i venti/trentenni e 8.310 per chi è nato dopo il 2000. L’anno successivo i dati non si sono discostati di molto: 26.800 nella “prima fascia” (forse anche a opera della tanta cassa fatta per il Covid), 23.344 per i 30/50enni, quasi 17mila per i nati dal 90 al 99 e sotto i diecimila per i ventenni.

Nel 2021, grazie anche alla “ripresa dell’occupazione”, ma trainata dal forte aumento dei contratti a tempo determinato, la fascia più giovane ha incrementato la propria ricchezza arrivando a quota 11.128 euro, ma sempre contro i 27mila dei sessantenni, i 24.500 dei cinquantenni e i 18mila dei trentenni. Lo scostamento dei redditi tra 2019 e 2020 è lieve per la fascia 1991- 1999, probabilmente perché essendo redditi più bassi i massimali di cassa integrazione, molto “pesanti nelle altre fasce, hanno inciso di meno.

E non va taciuto che il “tessuto occupazionale” del territorio bergamasco è profondamente vecchio (il 91% dei dipendenti nel 2019 era nato tra il 1953 e il 1990, percentuale appena diminuita nel 2020, 88%), con buona pace della tanto sospirata tenuta previdenziale.

L’Istat dice ancora che sono lavoratori “non standard” il 39,7% degli occupati under35, il 34,3% dei lavoratori stranieri, il 28,4% delle lavoratrici e il 24,9% degli occupati con licenza media. La quota di lavoratori non-standard raggiunge il 47,2% tra le donne sotto i 35 anni e il 41,8% tra le straniere.

Secondo una proiezione fatta dall’Osservatorio Cisl di Bergamo, in circa trentamila famiglie orobiche è presente almeno un occupato non-standard e in poco più di 10mila è l’unico occupato.

«La crescita dell’inflazione rischia di far deragliare il treno della ripresa e di creare fratture profonde nel Paese – commento Francesco Corna, segretario generale della Cisl di Bergamo -. Per contrastarne gli effetti non servono però “soluzioni demagogiche” come il salario minimo. Occorre affrontare il tema del lavoro povero, e la strada migliore è quella che mira a estendere il trattamento economico dei contratti maggiormente applicati a tutti i lavoratori, evitando semplificazioni e strumentalizzazioni. Soprattutto con una politica di “accoglienza al lavoro” nei confronti dei giovani, troppo spesso “parcheggiati” in contratti temporanei, con poche ore e quindi bassi stipendi, quando non sono collaborazioni o finti stage. Dobbiamo uscire dalla retorica dei giovani che rifiutano o non cercano più lavoro. Anche nella nostra provincia ci sono tanti giovani che non sono pagati abbastanza e a cui bisogna offrire un’occupazione stabile, salari giusti, parità di genere, una pensione dignitosa. Tutto questo oggi non avviene. Bisogna potenziare i canali di ingresso stabili e professionalizzanti, a partire dall’apprendistato e rendere il lavoro a termine più costoso di quello stabile».

«Oggi la paga oraria complessiva di chi applica contratti siglati dai sindacati confederali deve comprendere anche la retribuzione indiretta delle mensilità aggiuntive 13^ e 14^ dove prevista , ferie e Tfr che portano le retribuzioni reali oltre i 9 euro del salario minimo. In Italia – continua il leader orobico della Cisl -, a differenza di altri paesi europei, il 90% dei lavoratori è coperto da contrattazione collettiva e i contratti maggiormente applicati coprono tutti i settori con poche esclusioni. Bisogna inoltre chiarire che il lavoro nero non si elimina con il salario minimo, ma con il contrasto all’illegalità attraverso controlli e sanzioni. Non si capisce perché chi oggi evade la legge non pagando tasse, contributi e oneri previdenziali dovrebbe domani applicare il salario minimo per legge».

Tra le richieste avanzate al governo la Cisl ha inserito quella di incentivare la contrattazione di secondo livello e di detassare i benefit aziendali, sia nel settore pubblico che privato, quella di alzare la tassazione degli extra profitti al 50% per le aziende che hanno lucrato sull’aumento dei prezzi energetici e delle materie prime e la restituzione ali lavoratori del gettito extra dell’Iva che lo stato ha incassato per l’aumento dei prezzi.

«Bisogna agire con misure concrete per sostenere stipendi e pensioni – conclude Francesco Corna -, collaborando per rendere più efficiente il paese e aumentare la qualità e la produttività del nostro lavoro. Purtroppo gli sviluppi delle ultime ore della politica nazionale che indeboliscono il nostro governo non aiutano di certo ad affrontare il difficile periodo economico che stiamo affrontando come paese, che richiederebbe un supplemento di responsabilità e impegno ben diversi da parte di tutti come da tempo chiediamo come Cisl».

Condividi su:

Continua a leggere

La parrocchia di Bratto compie 150 anni, la storia in mostra
Con “Gromo si mostra” il borgo medievale diventa un museo diffuso