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Crisi delle professioni di cura, appello per la qualità del lavoro nelle Rsa

Le professioni di cura stanno vivendo una crisi profonda, in particolare nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). A denunciare la situazione è la Cisl Funzione pubblica di Bergamo. Il nodo, secondo il sindacato, sta nella scarsa attrattività delle professioni e dalla mancanza di risposte alle richieste di ammodernamento.

«Il rinnovo del contratto Uneba, contratto maggiormente applicato nelle Rsa della provincia, sul quale nelle ultime giornate stiamo puntando i riflettori sul territorio di Bergamo, insieme ai colleghi di Fp Cigl, Fisascat Cisl, Uil Fpl  e UilTucs, seppur di fondamentale importanza, non sarà sufficiente a rendere attrattive le professioni di cura e assistenza e a riportare all’interno delle RSA le persone di cui si necessita – sottolinea la Cisl Fp -. Oggi più che mai, nel settore socio-sanitario, abbiamo necessità di trovare coraggio e interesse a sperimentare delle differenti modalità operativo-organizzative, che riescano a far esprimere al meglio le professionalità di tutti gli operatori e, nel contempo, si individuino le nuove professionalità necessarie, ripensando a rapporti interprofessionali differenti e più ampi»

«Nel breve periodo – prosegue il sindacato – serve creare benessere lavorativo, sgravando il carico di lavoro eccessivo degli ultimi anni e rendere più gratificante e stimolante il lavoro di cura, agendo soprattutto su quei rapporti interprofessionali per aumentare le dinamiche del lavoro di squadra, e ritrovare quel senso di appartenenza, al mondo della cura a lungo termine, andato un po’ sbiadendosi. Nel medio-lungo periodo bisognerà investire seriamente, con idee innovative e risorse, sull’attrattività delle professioni di cura e sulle offerte formative, rideterminando anche le responsabilità professionali in ragione delle specifiche competenze. Cambiamenti importanti dovranno essere messi in atto sull’organizzazione del lavoro all’interno delle Rsa, sgretolando quell’incredibile rigidità che impedisce l’adattamento, in primis ai bisogni di salute e di cura e ai vari setting assistenziali da adottare».

L’invito della Cisl Fp è a ripartire «con più visione, visto il fondamentale ruolo che ricoprono le Rsa all’interno del sistema sanitario regionale e del territorio. Allo stesso tempo si consideri di aprirsi di più al confronto con il sindacato, orientandosi all’individuazione di soluzioni per alleggerire il carico di lavoro fisico ed emotivo, agendo sull’organizzazione del lavoro e sul riconoscimento delle professionalità e delle disponibilità degli operatori: una turnistica diversa e meno stressante e sfiancante, piani di lavoro che escano dalla logica della sola esecuzione di un susseguirsi di compiti in favore di un approccio alla cura per obiettivi e progetti».

Secondo il sindacato, al momento la qualità del lavoro è ancora penalizzante, in molte Rsa. «Ci sono turni che sembrano non finire mai e troppo spesso si lavora con una/due unità in meno rispetto al necessario, vivendo costantemente sotto pressione: le doppie o triple notti consecutive, i rientri in servizio da riposo, i permessi negati, i Rol accumulati, le banche ore e ferie arretrate ai massimi storici. Tutto questo, a fronte di paghe proibitive per reggere il costo della vita (poco più di 8 euro all’ora per gli Asa Oss)».

«Questa modalità organizzativa – continua la Cils Fp – ha un impatto enorme sulla qualità del lavoro ma anche sulla qualità di vita degli operatori, che non possono essere soddisfatti di quello che fanno, e di come lo devono fare: infatti siamo passati da un minutaggio assistenziale di 1400′-1600′ in periodo pre-covid, ai 1000′-1100′ attuali. Significa quindi che la qualità dei servizi erogati e delle cure ha comunque subito un ridimensionamento importante e che questo venga percepito come frustrante dagli stessi operatori. Nella relazione di cura la fretta incrina tutti i rapporti: tra operatori, con i  coordinatori e le dirigenze, con i residenti e con i famigliari. I limiti di tempo imposti creno una spirale di frustrazione e la velocità di svolgimento dei compiti genera una percepita sensazione di trascuratezza, sia in chi riceve le cure che in chi le garantisce».

«Oggi – è la conclusione – svolgere le professioni di cura, migliorando la qualità della vita degli operatori, degli ospiti residenti e dei loro famigliari è molto complicato: gli operatori, da soli, non riescono più fare la differenza. Per rispondere ai nuovi bisogni di salute e assistenza avremo sempre più bisogno di profili sanitari e tecnici formati e specializzati. La quantità senza la qualità degli operatori non può risolvere i problemi del sistema socio-sanitario e dei cittadini più fragili e anziani.  Maggiore attenzione alle condizioni di chi lavora, welfare aziendale, più equilibrio tra vita privata e lavorativa, organizzazione a dimensione più umana dei turni, non saranno gli ingredienti per la ricetta perfetta, ma potrebbero essere sicuramente un buon inizio; dopotutto far stare bene le persone, obiettivo del lavoro di cura, è una delle sensazioni più belle e gratificanti del mondo».

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