È uno degli scrittori italiani più apprezzati. E più premiati. Sono almeno una ventina i riconoscimenti che ha ottenuto con i suoi libri: dal Selezione Campiello al Grinzane Cavour, dal premio Chiara al Procida-Elsa Morante. Si dedica soprattutto ai romanzi, ma non disdegna racconti, poesie, saggi. Ospite ad Ardesio della rassegna «Parole sui crinali», Michele Mari si è raccontato a margine dell’incontro organizzato da associazione «L’Araba Fenice» e Amministrazione comunale.
«Sono diventato scrittore leggendo moltissimo – spiega Mari –. Mi ricordo da bambino, da ragazzo, prolungavo le storie che avevo letto, le variavo, aggiungevo personaggi, a volte mettevo me stesso. Ho stabilito una sorta di continuità, di simbiosi, tra lettura e scrittura. Mi ricordo che nel 1964, quando avevo 8 anni e mezzo, come regalo di Natale per mio padre ho scritto un racconto, s’intitolava “L’incubo nel treno”».
Quando si leggono romanzi, spesso viene da chiedersi da dove vengano i personaggi, l’intreccio, l’ambientazione. «Le mie storie nascono in modo imprevedibile – risponde lo scrittore –. A volte vengo visitato da un’idea, da uno spunto, che poi resta inerte per un po’, a volte anche per anni e poi sento il bisogno di dedicarmi a quell’idea. Mi butto con una certa inconsapevolezza di quello che potrà nascerne. Capisco quasi subito se c’è di che andare avanti o no. Ci sono dei casi in cui abbandono immediatamente. Se invece incomincio a prendere un po’ di slancio, nel giro di due o tre giorni so che sono ingaggiato in una nuova esperienza di scrittura».
Al momento, sembra che nessuna nuova idea si sia imposta: «Ho pubblicato da poco un libro fotografico – spiega ancora Mari –, è uscito a settembre, quindi è un po’ presto. Sto traducendo “La macchina del tempo” di Wells che uscirà tra circa un anno». Il libro a cui è più affezionato, confida, è «Il richiamo della foresta» di Jack London, «il penultimo che ho tradotto».