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Bergamo con la valigia, un rovettese a Nottingham

Superiori a Clusone, università a Pavia e dottorato a Milano (al Politecnico) e poi per lavorare, e restare nel campo accademico, un biglietto aereo con destinazione Regno Unito: è il percorso di Paolo Beccarelli, un giovane rovettese che da 6 anni vive a Nottingham, cittadina inglese resa celebre dalle leggende su Robin Hood.

«Dopo il dottorato volevo restare nel settore – racconta – ma in quegli anni non era una strada particolarmente accessibile in Italia». Non era nemmeno semplice, nel pieno della crisi, il campo scelto da Paolo, che cresciuto a Rovetta, paese dell’Alta Valle Seriana dove per decenni il settore delle costruzioni ha giocato un ruolo molto importante, ha sviluppato una certa passione per le costruzioni. «Ero già stato per 6 mesi nel Regno Unito durante il dottorato – continua – e quindi appena ho trovato una posizione aperta ho provato. Ho fatto un colloquio, insieme a un’altra ventina di candidati, è andato bene e ho ricevuto un’offerta per un posto stabile all’Università di Nottingham».

Paolo è un “Assistant Professor” del dipartimento di Architettura e Ambiente Costruito ed è titolare dei corsi di Tectonics 1 e Environment and Technology 2, potremmo semplificare dicendo che si occupa “dell’architettura tecnica, dei sistemi costruttivi e del progetto strutturale nei corsi di laurea in architettura”. «L’Università nel Regno Unito è un mondo molto competitivo e aperto – spiega -, la gestione è snella, assomiglia a quella di un’azienda privata. Può essere che possano servire docenti e ricercatori in un campo in cui l’ateneo vuole investire e in tal senso vengono fatte campagne di arruolamento o al contrario si ridimensionano settori non più strategici. Sembra tutto molto più dinamico, come di fatto lo è in generale il mercato del lavoro».

«Il sistema inglese – aggiunge – considera le università come uno dei motori dell’economia e per questo raccolgono un grande interesse. I campus sorgono in zone scelte nell’ottica di una riqualificazione urbanistica, in aree che poi diventano le più interessanti della città e attraggono investimenti privati per nuove residenze universitarie, incubatori d’impresa e uffici. in questi sei anni ho visto investimenti impensabili per gli atenei italiani, come un centro sportivo da 45 milioni di euro o due campus distaccati in Cina e Malesia dove offriamo corsi di laurea direttamente nei Paesi di provenienza dei nostri studenti stranieri».

Da italiano, in particolare da bergamasco, all’estero come va? «Gli inglesi apprezzano i nostri connazionali in ambito accademico e professionale – risponde Beccarelli -, in genere nel Regno Unito arrivano italiani intraprendenti e appassionati del lavoro che fanno, spesso persone che vanno oltre le normali aspettative per quel lavoro».

E la Brexit che ripercussioni sta avendo? «È un processo molto complesso che sta mettendo alla prova il sistema accademico ed economico inglese – continua -. Per gli europei che già lavorano dentro i confini del Regno Unito non dovrebbero esserci cambiamenti. Per chi invece ha intenzione di trasferirsi e cercare un lavoro, le cose probabilmente non saranno semplicissime: senza un accordo i nuovi emigranti potrebbero avere bisogno di un visto o di un permesso lavorativo».

Paolo vive con la valigia pronta, spesso è in Italia, non solo per fare ritorno a Rovetta, ma anche per una seconda attività sviluppata sin dai tempi del Dottorato di Ricerca. «Con un mio collega – racconta – abbiamo creato un’attività legata ai padiglioni temporanei realizzati in tessuto, alluminio e legno lamellare, strutture impiegate nel mondo delle corse, negli eventi temporanei e per le istallazioni artistiche. Sta andando molto bene e lavoriamo con i principali marchi del settore, una grande soddisfazione per una realtà giovane come la nostra».

Paolo in Italia con sullo sfondo una montagna di casa, la Presolana

E i rapporti con gli altri italiani all’estero? «C’è una grossa comunità di italiani nel Regno Unito – spiega -. Principalmente lo scambio di informazioni avviene attraverso i social network che di fatto costituiscono il canale principale per mettersi in contatto e permettono di ottenere informazioni e consigli anche solo attraverso un semplice messaggio. Tuttavia, avere l’occasione di incontrare qualche italiano anche solo per una birra insieme non è male».

Cosa manca dell’Italia a Nottingham? «Oltre agli affetti – racconta -, è a tavola che si trovano differenze: non c’è la stessa abitudine di pranzare e cenare insieme e gli ingredienti non hanno la stessa qualità, in particolare le verdure. Il trucco è tornare il prima possibile in Italia per fare rifornimento e ricaricarsi».

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