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Bergamo con la valigia, a Barcellona Giuseppe lavora a un libro

Nella vivace Barcellona negli ultimi anni sono arrivati diversi bergamaschi. Abbiamo già raccontato la storia di Stefano Gabrieli, giovane di Cerete all’estero per motivi di studio, ma continuiamo a occuparci di questa città integrando il quadro attraverso il racconto di Giuseppe Vailati, delegato locale dell’Ente dei Bergamaschi nel Mondo.

«Qui non c’è un vero e proprio circolo – racconta Giuseppe -, per ora c’è solo una delegazione. Ci rapportiamo con una ventina di bergamaschi, anche se il numero degli orobici in questa città è sicuramente superiore».

Giuseppe, 32 anni, originario di Bergamo, è arrivato nella città di Gaudì circa 18 mesi or sono. «Qui vive la mia ragazza, di origine colombiana che ho incontrato lungo il cammino di Santiago. Fortunatamente quando sono arrivato ho trovato lavoro. Per questo devo ringraziare don Luigi Usubelli, missionario bergamasco con trascorsi anche a Cuba e in Australia. Quando l’ho contattato mi ha chiesto cosa sapevo fare. Ho spiegato di avere avuto esperienze con gli adolescenti, avendo lavorato come educatore all’oratorio di Trescore. Così, con un progetto finanziato da Migrantes di Roma, sono venuto qui e tuttora lavoro come educatore con gli adolescenti della comunità italiana a Barcellona. Ho insegnato anche religione alla scuola italiana come supplente».

Giuseppe, del quartiere di Santa Canterina ma cresciuto a Monterosso, ha frequentato il Sant’Alessandro, poi l’Università Cattolica e dopo la laurea ha studiato teologia al seminario Papa Giovanni XXIII. È stato anche per un po’ in seminario. Ha pure un passato da calciatore: ha giocato nelle giovanili della Virescit, nell’Excelsior, nel Dalmine Futura ed è stato sul campo anche con Damiano Capitanio (giovane scomparso qualche anno fa). Giuseppe ha conosciuto inoltre Pier Mario Morosini: i due hanno giocato insieme nel Monterosso. “Mario gioca semplice” è il titolo del libro che Giuseppe ha scritto nel 2016, edito dalla San Paolo, che racconta come le loro vite si siano incrociate. Ora sta scrivendo un altro libro e da qualche mese lavora anche in una filiale spagnola di un’impresa milanese che produce macchine per l’imballaggio.

Giuseppe è quindi un giovane cresciuto tra oratorio, studio e pallone; tre dimensioni, magari non per forza in quest’ordine, accomunate da un valore aggiunto: la relazione umana. Tra le pagine del nuovo libro a cui sta lavorando Giuseppe s’incontrano proprio alcuni aspetti relazionali che fanno parte dell’attuale fenomeno migratorio. «Il titolo – racconta – è: “Gli ermenauti, ovvero i viaggiatori in cerca di messaggi”. Parla proprio di alcuni ragazzi che sono stati costretti a migrare a Barcellona a causa delle scelte dei loro genitori. Creare amicizie profonde, dopo averne dovute lasciare molte, è la sfida più difficile per loro. Tra peripezie e disagi adolescenziali, sono aiutati a riflettere dal loro professore, appena arrivato da Parigi, sposato con una moglie “particolare”. Il tutto tra le splendide vie di Barcellona, dove il vento soffia in direzioni imprevedibili e vicino al mare. La bozza manoscritta è quasi pronta, ma la stesura a computer è per il momento lontana. Vedremo se qualche casa editrice lo pubblicherà quando sarà pronto».

E il lavoro a Barcellona come va dopo i recenti problemi socio-politici? «La crisi indipendentista – racconta Giuseppe – non ha toccato il mio lavoro di educatore. Di ragazzi ce ne sono e partecipano anche alle attività della Parrocchia. Ottobre e novembre tuttavia sono stati mesi difficili per le imprese. Il clima d’incertezza ha avuto importanti ripercussioni. Le imprese spagnole sono diffidenti dell’instabilità politica della Catalogna e si percepisce anche una certa antipatia. So di amici assunti con orario ridotto per via della crisi. Barcellona è anche stata scossa da un attentato, che è come se fosse stata cancellato. Se vai in quei luoghi oggi non è rimasto nulla e non c’è niente che lo ricordi. Resta però nella coscienza della gente».

Mattia e Raffaella, i due educatori di Trescore e Tavernola che nel 2016 a Barcellona hanno dato il via al primo Cre per ragazzi italiani all’estero

A Barcellona i bergamaschi che ruotano intorno alla delegazione, una ventina, s’incontrano perlopiù per stare insieme. «La nostra Parrocchia – continua – ha avviato un progetto attraverso il quale nel febbraio del 2017 due educatori di Trescore sono venuti a trovarci. Due adolescenti italiani sono già stati da noi una settimana a luglio. Con l’Istituto Vittorio Emanuele abbiamo inoltre avviato uno stage durante l’estate per alcuni studenti e stiamo progettando un percorso di alternanza scuola lavoro per alcuni ragazzi dell’Esperia».

Giuseppe Vailati con il prof Salone dell’Esperia

Anche Giuseppe, come tanti migranti che partecipano da protagonisti alle attività delle delegazioni e dei circoli dei Bergamaschi nel mondo, è bersagliato da continue richieste di informazioni avanzate da giovani orobici in cerca di un’occupazione a Barcellona. «A Barcellona c’è lavoro – racconta – ma bisogna sapere lo spagnolo. Non è tuttavia tutto oro quello che luccica. Il clima è bello, ma bisogna comunque pedalare e gli appartamenti e la vita costano. Mi dispiace molto vedere tutti questi giovani che per lavorare devono lasciare la nostra terra, ma penso anche che vivere un po’ all’estero e in una grande città non faccia male».

Barcellona, una cena al PolentOne a Barcellona

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