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Bergamo con la valigia, il “doppio titolo” di Stefano a Barcellona

Tra i bergamaschi all’estero ci sono numerosi studenti, non solo impegnati con il progetto Erasmus, ci sono anche alcuni universitari che stanno frequentando atenei stranieri attraverso il programma “doppio titolo”, che permette di ottenere due lauree magistrali in due stati diversi.

È il caso di Stefano Gabrieli di Cerete, ventiquattrenne studente di ingegneria civile al Politecnico di Milano che dal settembre 2016 vive a Barcellona dove frequenta l’Universidad Politécnica de Cataluña.

Stefano ci racconta la sua esperienza raccontando i pro e i contro del vivere a Barcellona. «Dopo i primi problemi di comunicazione dovuti alla lingua straniera – ricorda Stefano – l’ostacolo più grande è stato trovare casa. Ci sono numerosi siti Internet, ma non è così semplice perché ci sono un sacco di giovani che cercano un appartamento. Altro passaggio ottenere il NIE, il documento che ti consente di lavorare in Spagna (una sorta di carta d’identità per gli stranieri). Teoricamente la procedura è molto semplice, si prenota l’appuntamento tramite la pagina web della municipalità e una volta ottenuto ci si presenta con tutta la documentazione necessaria, dopodiché pagando una piccola tassa di 10 euro viene rilasciato. La parte divertente sta nel fatto che non ci sono appuntamenti disponibili, o meglio, gli appuntamenti disponibili vengono resi noti attraverso la pagina web del comune solo il lunedì mattina, dalle 7 alle 9 e solamente uno ogni 5 minuti. Quindi per ottenere questo appuntamento bisogna vincere una vera e propria sfida a colpi di click contro la miriade di stranieri in cerca di lavoro. La chiamo sfida perché di fatto vince il più  veloce nel compilare le pagine del questionario ogni qualvolta si rende disponibile un nuovo appuntamento».

Barcellona è una città che offre molto, i residenti sono amichevoli, ma conoscere lo spagnolo può non bastare. «Quasi tutti i miei compagni di corso sono nati e cresciuti qui – spiega -, di conseguenza la loro lingua madre è il catalano, idioma ben diverso dalla spagnolo. Qui tutti parlano il catalano, lingua usata sui cartelli, nella metro, sulle etichette, insomma ovunque».

Ma nonostante le prime difficoltà a Barcellona Stefano si trova bene. «Di cose belle ne ho trovate tantissime – racconta -, come ad esempio il clima. Fino agli inizi di novembre ci si può permettere di andare in spiaggia a prendere il sole, fare una partita a beach volley o semplicemente prendere una boccata d’aria salmastra. Qui il bel tempo è una costante e i giorni di pioggia all’anno sono veramente pochi».

Barcellona è una città davvero unica. «Nel suo complesso – continua – è un mix di culture che coesistono con una naturalezza strabiliante. Ci sono persone da tutto il mondo, di tutte le età e di tutte le classi sociali. Nell’aria c’è una sensazione di benessere e calore, non di stress e frenesia tipica delle grandi metropoli come Milano, Londra o Parigi. Le persone sono molto cordiali e sempre disposte a fermarsi cinque minuti per darti indicazioni o semplicemente scambiare due parole. Una delle cose che apprezzo di più di questa città credo sia la sua semplicità. È molto organizzata. Tutto sta al posto giusto, dove si dovrebbero trovare negozi, ristoranti, musei, gallerie d’arte, teatri, parchi… I mezzi di trasporto sono efficienti e come se non bastasse non mancano vaste aree pedonali, per questo è comune trovare per strada ragazzini che giocano con biciclette pattini, skateboard o semplicemente con un pallone. Questo contribuisce a creare un’atmosfera più giocosa e meno stressante. C’è veramente qualsiasi cosa di cui un individuo possa avere bisogno ed è tutto a portata di mano. Basti pensare che nei mesi invernali, nella stessa giornata, si può scegliere di andare a sciare sui Pirenei, (a poco più di un’ora e mezza in automobile) o andare in spiaggia a fare surf. Notevole! Questo clima trasmette una totale libertà di espressione e si percepisce anche nell’architettura (vedi le geometrie della Sagrada Família o di qualsiasi altro lavoro di Antoni Gaudí), attraverso i numerosi artisti di strada che riempiono le piazze con i loro piccoli spettacoli, i murales per le vie della città o semplicemente osservando l’abbigliamento delle persone. Qui ho come l’impressione che ognuno è semplicemente libero di essere se stesso».

Bella Barcellona, ma qualcosa dell’Italia manca sempre. «Beh l’Italia è l’Italia: una delle cose che mi manca di più è la colazione all’italiana. Qui va per la maggiore la colazione salata, quindi è molto difficile trovare un buon caffè o buone brioche. Tuttavia in molti supermercati si possono acquistare prodotti italiani, per cui si possono assaporare piatti italiani cucinando a casa».

E a Barcellona economicamente come vanno le cose? «Devo ammettere – spiega – che l’economia va molto bene. Non me l’aspettavo, ho sempre visto la Spagna come un Paese più arretrato rispetto al nostro, ma devo ammettere che mi ha sorpreso molto. Sembra che ci sia lavoro per tutti e soprattutto gratificazioni per chi ha un titolo di studio, cosa al momento assente in Italia».

«Gli italiani sono visti molto bene. Generalmente ci prendono in simpatia e gli piace il nostro accento o modo di fare. Conoscono molto bene la nostra cultura e soprattutto le nostre città d’arte più famose. Quasi tutti gli spagnoli che ho incontrato sono stati in Italia, anche solo per vacanza. E ne parlano tutti molto bene. E di italiani ce ne sono parecchi, non solo giovani. Ho persino avuto un docente italiano, che però insegna qui. Forse di bergamaschi non ne ho incontrati molti, anche se in realtà vivo con un amico di Costa Volpino».

Ma Stefano tornerà in Italia? «Credo che questo dipenda soprattutto dalle opportunità lavorative che avrò una volta finito il mio percorso di studi. L’idea di fermarmi qui, o in un altro stato, ancora per qualche anno finita l’università non mi dispiace. Anzi, se mi capitasse la possibilità la coglierei al volo. Sinceramente in Italia vedo il mio futuro a lungo termine, quando avrò trovato veramente il lavoro che fa per me».

 

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