“Quale montagna vuoi?”. In tanti cercano risposte alla domanda. Almeno a giudicare dalla gente che ieri sera (giovedì 28 novembre) ha affollato l’auditorium della scuola primaria di Clusone. Al centro dell’appuntamento, come evidenziato dal titolo voluto dagli organizzatori, il futuro della montagna visto da chi la abita. A partire anche e soprattutto dai progetti sul tavolo. In primis, l’ipotesi di collegamento tra le stazioni sciistiche di Colere e Lizzola.
L’incontro è stato organizzato dal neonato collettivo Terre Alt(r)e. «Siamo abitanti della Val Seriana, della Val di Scalve, della Val Camonica, appassionati di montagna e, soprattutto, amanti del nostro territorio. Siamo convinti che i progetti che si propongono di modificare drasticamente il nostro territorio e il modo di vivere le nostre montagne richiedano un dibattito pubblico informato e consapevole», ha detto in apertura Paolo Perosino.
E per un primo confronto pubblico, il collettivo ha chiesto la collaborazione di Orobievive, il coordinamento bergamasco delle associazioni ambientaliste nato nel 2007 proprio per affrontare il tema del comprensorio sciistico tra Alta Val Seriana e Val di Scalve. L’incontro promosso a Clusone ha attirato parecchia gente: pieno l’auditorium, in tanti anche in piedi.
La serata, moderata da Bruno Contardi, ha preso il via con l’intervento di Agnese Moroni, del centro di ricerca Eurac Reasearch, impegnata nel progetto Beyond Snow. L’iniziativa si propone di aiutare delle comunità alpine, destinazioni turistiche, ad affrontare sfide legate al cambiamento climatico come la diminuzione della neve e a mantenere comunque l’attrattività. Vengono messi in campo percorsi che coinvolgono le persone che vivono e lavorano in queste comunità.
A seguire, forse il momento più atteso: l’analisi del progetto di collegamento tra Colere e Lizzola, presentata da Angelo Borroni di Orobievive. Uno studio dettagliato che ha evidenziato i costi (70 milioni di euro, di cui 50 pubblici, secondo Borroni destinati ad aumentare), ma anche l’impatto ambientale del progetto e la sua sostenibilità. Borroni ha definito il progetto «fuori tempo e fuori luogo».
«Vengono occupate la Val Conchetta e la Val Sedornia ad oggi non ancora antropizzate – ha aggiunto -. I chilometri di piste non aumenteranno, in quanto alcune piste di Lizzola verranno chiuse. Il versante nord del Pizzo di Petto è area valanghiva e richiede l’inserimento di opere di protezione della pista e della seggiovia. La fruizione delle strutture in quota sarà destinata a una élite. La destagionalizzazione del progetto si riduce a introdurre il downhill fra Carbonera e Polzone».
E poi il tema del cambiamento climatico, considerando la diminuzione delle nevicate, l’aumento delle temperature e il consumo di risorse per l’innevamento artificiale. E, ancora, la questione sostenibilità. «Questo progetto non è per niente sostenibile perché implica un maggior carico antropico su un’area protetta, fragile e di pregio», ha aggiunto Borroni. Questi sono stati solo alcuni degli aspetti analizzati.
Qui l’intervista ad Angelo Borroni che spiega il punto di vista di Orobievive sul progetto:
Sul tavolo anche il tema delle ricadute sulle comunità locali. Ad affrontarlo Lucio Toninelli della minoranza di Vilminore di Scalve (il progetto di collegamento, infatti, insiste in parte sul territorio di Vilminore). «La domanda è: ma ne abbiamo davvero bisogno?», ha detto Toninelli.
«La Val di Scalve non ha disoccupati – ha aggiunto -. Tutte le imprese sono in cerca di manodopera, anche qualificata. I ristoranti, i bar, gli hotel non trovano personale». Secondo Toninelli, non è il turismo la soluzione allo spopolamento delle valli, perché lo spopolamento dipende da altri fattori, come ad esempio il fatto che si fanno meno figli. «Dove c’è lo sci, dove c’è l’iperturismo, la popolazione diminuisce», ha aggiunto.
Infine l’intervento di Luca Rota, scrittore e blogger lecchese, studioso di paesaggi. Rota si è concentrato anzitutto sugli effetti del cambiamento climatico. In particolare ha confrontato la situazione italiana con quella svizzera. «In Svizzera – ha detto – contemplano il cambiamento climatico nella strategia di gestione sviluppo delle stazioni sciistiche. Tant’è che la confederazione non finanzia comprensori sciistici sotto i 2000 metri. Lo possono fare i cantoni, ma lo fanno in maniera molto rara e soprattutto in supporto a stazioni che hanno una ricaduta socioeconomica locale». Rota ha concluso con un appello a un approccio più sostenibile allo sviluppo territoriale, che tenga conto delle esigenze della comunità locale a lungo termine. «Il turismo deve essere messo al servizio della comunità», ha aggiunto.