Per introdurre questo album dei Drama dobbiamo tornare alla fine degli anni ’80, quando dopo la pubblicazione dell’album d’esordio “Once and For All” nel 1988 seguito da una serie di date live importanti ( ricordo benissimo ancora oggi quella di spalla ai Bonfire in un Garage Prego di Milano bello pieno ) la band entra in studio per registrare il secondo disco.
Purtroppo una volta terminate le registrazioni le promesse fatte alla band vengono a cadere e invece che rappresentare la rampa di lancio definitiva per i Drama questo secondo disco finisce per essere la fine della carriera del quintetto lombardo. Oggi, a 25 anni di distanza la Minotauro Records pubblica finalmente queste 10 canzoni che per troppi anni sono rimaste nel cassetto. I Drama potevano contare su un chitarrista di livello assoluto come Luca Trabanelli e su un cantante, Ronnie Alberti, che anche dal vivo possedeva il carisma del grande frontman, miscela questa che era la spina dorsale del sound dei nostri, che poteva ricordare un’altra grande band italiana, gli Elektradrive. “Headin’ For A Hearbreak” è un grande pezzo di melodic rock con la chitarra di Trabanelli a duellare con le tastiere di J.L. Brochiero, seguita da “Little Dancer” che fa il verso agli Autograph di Steve Plunkett. “Get It On” ricorda i Trixter del primo disco mentre “Lost Inside” è figlia di quel modo di intendere l’hard rock melodico in voga in Italia in quegli anni ( Elektradrive, Danger Zone e perchè no, anche i R.A.F., band in cui militava lo stesso Trabanelli ). Rock’n’Roll alla stato puro è invece “More Than Each Other”, ma è alla traccia numero sette che arriva quello che probabilmente è il pezzo migliore di tutto il disco, “Far Away From Home””, sorta di semi ballad impreziosita dal sax di Nicola Calgari e da una prova vocale di Alberti di classe sopraffina. Si va verso la fine con la “classica” “Blue Lites” e con le atmosfere molto americane di “Rockin’ Years” con ancora un debordante Trabanelli a guidare i suoi attraverso un pezzo roccioso e melodico al tempo stesso. Chiusura con “The Raiders of the Lost Cherry”, forse il brano più heavy del disco e che immagino avrebbe fatto sfracelli in sede live. Un grazie alla Minotauro per averci dato la possibilità di poter godere 25 anni dopo di un disco che non avrebbe meritato una sorte così avversa.