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Quando bergamaschi e bresciani costruivano forni fusori per le corti d’Europa

Con gli incontri Tra/Montani in programma a Gorno (al via oggi pomeriggio 23 settembre 2016) quest’anno i lavori si concentrano sul tema “Le miniere delle Alpi, il futuro di una storia millenaria”.

Se in questi anni è il futuro ad avere suscitato l’interesse dei giornalisti, per via del possibile rilancio delle miniere grazie all’interessamento di una società australiana, anche il passato offre occasioni di dibattito. Sul nostro territorio non mancano infatti episodi gloriosi legati alla lavorazione dei minerali.

Già in passato ci siamo occupati ad esempio della produzione di lame e armi da fuoco in alta valle Seriana, attività andata in affanno con il disastro del Goglio. Quello che è passato sotto traccia è tuttavia la capacità dei nostri valligiani di produrre non solo lame pregiate in gran quantità, ma anche gli stessi forni fusori.

«In valle Camonica nel 1988 è stato fatto un convegno sull’antica siderurgia, – anticipa alcuni contenuti della sua relazione Giancarlo Maculotti, organizzatore degli Incontri Tra/Montani – gli atti sono raccolti in un libro ormai introvabile “Dal basso fuoco all’altoforno”, fondamentali per capire cosa avveniva nelle valli bergamasche dal quattordicesimo al diciassettesimo secolo. Da questi è stato possibile asserire che il forno fusorio proto industriale è stato inventato proprio nelle valli bergamasche e bresciane. Parliamo di un forno fusorio con il quale è stata inaugurata la produzione continua: lavorava infatti per sei-sette mesi consecutivi; accendere un forno fusorio di quel genere era economico solo se si poteva disporre del minerale e del carburante necessario per tutto quel tempo». Le valli bergamasche e bresciane infatti offrivano la presenza sia del minerale sia del legname per produrre il carbone.

«Erano abili costruttori di forni fusori – continua Maculotti – per le loro conoscenze tecniche. I loro forni non erano alimentati con i mantici, strumenti che dovevano fare i conti con l’usura, ma con la “Tina dell’ora”, un particolare sistema che attraverso la caduta dell’acqua in un bacino chiuso ermeticamente creava un sistema di aria forzata che permetteva di alimentare il fuoco».

«Proprio grazie a questa invenzione – continua Maculotti – bresciani e bergamaschi erano richiesti all’estero. Pensiamo ai Caccia della valle Seriana chiamati dal Vescovo di Cracovia, i Gervasoni della valle Brembana chiamati nel Delfinato francese a costruire forni fusori, ma anche a come in Toscana siano conservati testi del tempo scritti con termini del dialetto bresciano».

Secondo quanto documentato in un Privilegio del Re di Polonia Sigismondo III del 5 aprile 1624, sono proprio due fratelli: i nobili Lorenzo e Andrea Caccia a portare in Polonia la fabbricazione del ferro a Chieltz. Nel secondo tomo della “Bibliografia Critica delle antiche e reciproche corrispondenze politiche, scientifiche, ecclesiastiche letterarie e artistiche dell’Italia con la Russia e Polonia ed altre parti settentrionali”, libro conservato nella Collezione Pistoiese presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si legge: «Lorenzo e Andrea fratelli Caccia da Bergamo a spese proprie e con gran travaglio fecero venire in Polonia da varie parti d’Italia moltissimi artefici esperti nell’arte di lavorare  e calamitare il ferro e di fabbricare armi ed armature le quali dovessero servire per l’espugnazione di Smolensko. Succedettero ai fratelli Caccia Bernardo Servalli e Pietro Giannotti (la famiglia del quale esiste tuttavia in Cracovia)».

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