Etichettati troppo frettolosamente come semplici cloni dei conterranei AC/DC, gli Airbourne si sono costruiti una solida carriera grazie a tre dischi di buon livello ma soprattutto a centinaia di live incendiari, in cui i quattro australiani danno sicuramente il meglio di loro stessi. Questo quarto album segna anche il cambio di etichetta dalla Roadrunner alla Spinefarm, label che sta assumendo un’importanza sempre maggiore nel mercato hard/heavy.
Il team che ha lavorato su questo nuovo lavoro è composto da Bob Marlette ( già con loro ai tempi dell’esordio del 2007 “Runnin’ Wild” ) e da Mike Fraser che tra i mille dischi prodotti vanta tutta la recente produzione targata AC/DC. Lo start è dato dalla titletrack, un classico pezzo Airbourne, una cannonata rock’n’roll tipica del repertorio degli australiani e per questo di grande impatto. A seguire troviamo “Rivalry”, scelto anche singolo, un mid-tempo in cui la fa da padrone la voce al vetriolo di Joel O’Keeffe e dotato di un coro da stadio alla “Thunderstruck” per capirci. Rispetto al suo predecessore “Breakin’ Outta Hell” gode di una maggiore compattezza, pezzi come “Get Back Up” e “Thin The Blood” faranno strage in versione live, mentre “It’s Never Too Loud For Me” è una vera dichiarazione d’intenti e strizza l’occhio allo sleaze rock degli anni ’90. “I’m Gonna Go To Hell For This” rispolvera gli AC/DC del periodo Bon Scott, rock’n’roll con quella vena blues tipica di Angus e soci, così come “Down On You”, altro pezzo dal tiro micidiale. La musica degli Airbourne è sinonimo di divertimento, di volumi alti e casino come ben dimostrato da “When I Drink I Go Crazy”, titolo che lascia poco spazio ai dubbi sull’attitudine casinista e festaiola del quartetto. La chiusura è affidata a “It’s All For Rock’n’Roll”, e credo che non ci siano davvero dubbi che in questo disco di rock’n’roll ce ne sia veramente tanto.