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Bergamo con la valigia, da Fino del Monte alla Svezia

Nel sud della Svezia, c’è una piccola comunità di bergamaschi.

Alcuni anni fa a Karlskrona è arrivato un giovane ingegnere di Fino del Monte che ha trovato lavoro nella locale Università. Qualche anno dopo è stato raggiunto da suo fratello minore, anche lui ingegnere. Ai due fratelli, che di cognome fanno Bertoni, le cose sono andate bene e dall’Italia si sono trasferite anche quelle che poi sono diventate le loro mogli (bergamasche entrambe, di Costa Volpino e San Lorenzo di Rovetta). Il più grande dei due fratelli si chiama Marco e ha 37 anni, l’altro, Alessandro, è di 5 anni più giovane. «Innanzitutto, mi trovo molto bene – racconta Marco -, e sempre più mi sorprendo di come abitudini e stili di vita qui nel sud della Svezia non siano poi così diversi da casa nostra».

Che fa Marco in Svezia?

Marco è in Svezia già da oltre una decina di anni. «Sono professore associato di Sviluppo Prodotto al Blekinge Institute of Technology – spiega -. Siamo la sesta università tecnologica di Svezia per importanza e prendiamo il nome dalla regione del Blekinge in cui ci troviamo. Io e i miei colleghi ci occupiamo di ricerca applicata all’ambito ingegneristico e collaboriamo con diverse università europee, tra cui anche l’Università degli Studi di Bergamo. Con l’Ateneo orobico abbiamo appena instaurato un accordo di collaborazione all’interno del programma Erasmus+, che offre agli studenti italiani l’opportunità di un’esperienza di studio in Svezia e viceversa. Al momento ospitiamo 2 studenti da UniBg, che stanno applicando le loro conoscenze in progetti di innovazione con i nostri partner aziendali. L’accordo prevede inoltre il regolare scambio di docenti e ricercatori, e personalmente è stato quasi commovente tornare nella mia ‘alma mater’ nel ruolo di insegnante».

La Svezia spesso viene descritta come un Paese con un’economia molto solida. «La crescita è evidente – continua Bertoni -, anche se veniamo da qualche anno difficile. Ci sono buone prospettive di lavoro, ma chi volesse venire in Svezia deve sapere che si tratta di un Paese che dà molto peso all’istruzione, anche per i lavori più semplici».

I bergamaschi al momento dalle parti dei Bertoni in Svezia non sono molti. «Ho conosciuto molti italiani – continua Marco -, ma non tantissimi Bergamaschi. Posso dire che, indipendentemente dalla regione italiana di origine, dopo un periodo di ambientamento si trovano tutti molto bene».

E cosa sorprende della Svezia? «Nell’immaginario collettivo la Svezia è luogo dai paesaggi incantevoli. Non posso che confermare questa impressione – sorride -. È forse più sorprendente scoprire l’affabilità e la cortesia degli svedesi. Un po’ come con noi bergamaschi, serve rompere il ghiaccio, ma poi è facile entrare in sintonia e apprezzare le loro qualità».

Il primo impatto e il glaciale benvenuto

L’arrivo di Marco in Svezia è stato quasi per caso. «Una decina di anni fa – ricorda – ero dottorando presso il Politecnico di Milano e mi sono trovato a lavorare con un gruppo di svedesi della Luleå University of Technology. Una sera, davanti alla classica birra in un pub di Bristol, il professore svedese a capo del gruppo mi chiese: “Cosa ne pensi di venire qualche mese da noi per vedere come facciamo ricerca?” Ci pensai su e il 28 febbraio del 2007 sono partito per la Lapponia. Sono sbarcato a Luleå, una piccola cittadina a circa 100 chilometri dal Circolo Polare Artico, con praticamente i cani da slitta ad aspettarmi all’aeroporto. Dopo aver lavorato per circa 4 mesi a un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea, sono tornato in Italia per concludere il dottorato. L’anno successivo, molto semplicemente, ho ricevuto una telefonata con cui mi si chiedeva di tornare. Dopo aver valutato pro e contro della decisione con Elena, che poi è diventata la mia attuale moglie, nel 2008 ho deciso di trasferirmi in pianta stabile nel Nord della Svezia».

Marco ed Elena hanno così preso casa e imparato lo svedese. Nel frattempo è arrivato anche il fratello, da poco diventato papà. «Dopo qualche anno il nostro gruppo si è trasferito in blocco a Karlskrona e io, seguendo i miei colleghi, ho praticamente dimezzato la distanza che mi separa dall’Italia».

«Il lavoro in università è vario e appagante. Oltre alle classiche lezioni, lavoriamo in progetti di innovazione con aziende grandi e piccole, dalle cooperative sociali alle multinazionali come Volvo e Tetra Pak».

E un po’ anche grazie a Marco sono arrivati negli ultimi anni numerosi svedesi in Italia. «Anche se non siamo probabilmente tra le mete più famose o gettonate, chi ha avuto l’opportunità di visitare le nostre zone è rimasto piacevolmente colpito dei nostri paesaggi. Il mio direttore di dipartimento si è innamorato di Riva di Solto e del Corno Trentapassi. Quando mi incontra mi dice sempre che non vede l’ora di “andare al sud”».

E cosa manca dell’Italia? «Indubbiamente il cibo. Per quanto riguarda la classica polenta – afferma sorridendo – dicono che la regione in cui abito sia la capitale della polenta svedese, ma non credo vincerebbe il confronto».

 

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