Album of the week

LUGNET – Nightwalker

“Nightwalker” è il secondo album, degli svedesi Lugnet, che avevamo conosciuto nel 2016 con un ottimo album d’esordio, recensito proprio su queste pagine.

Nel frattempo ci sono stati grandi cambiamenti di line-up, se è vero che non fanno più parte della band il cantante Roger Solander e il chitarrista Danne Jansson, sostituiti da Johan Falberg ( cantante di Jaded Heart e in passato degli Scudiero ) e da Matti Norlin. Confermati invece l’altro chitarrista Marcus Holten e la sezione ritmica con Lennart Zethzon al basso e Fredrik Jansson alla batteria. L’album è stato prodotto dagli stessi Lugnet e si compone di 8 tracce, tra cui la cover di “Cochroach” degli Sweet, resa abbastanza fedele all’originale. Ma concentriamoci sulle nuove canzoni del quintetto svedese, a cominciare dal pezzo che apre il disco , “Die For You”, riff bello corposo, ritornello melodico e parte centrale con un ottimo solo, su cui svetta la voce di Fahlberg, che rispetto al suo precedessore ha un timbro meno caldo ma comunque ben inserito nel contesto. “Begging” conferma quanto ascoltato con il pezzo d’apertura, confermando l’impressione che rispetto al disco d’esordio i nostri si siano di poco allontanati dalle classiche sonorità Rainbow/ Sabbath/Whitesnake che permeavano il disco d’esordio per spostarsi però ogni tanto verso sonorità sempre classicamente seventies ma meno hard e più classic rock. “Never Again” da questo punto di vista è forse il brano che ancora più risente di influenze sabbathiane , un pezzo ipnotico giocato su un riff monolitico, potrei associarlo al periodo dei Sabbath con Toni Martin dietro il microfono. Altro pezzo discretamente lungo è “Death Laughts At You”, in cui ancora i Sabbath incontrano i Led Zeppelin, ottima la prova di Fahlberg che dimostra di sapersi districare molto bene anche con questo tipo di sonorità, lontane da quanto sentito in passato. La canzone che da il titolo al disco è una bordata di fumante rock’n’roll, curiosamente firmato dalla coppia Solander/Jansson ormai fuori dai giochi, mentre “Living in a Dream” è un altro ottimo esempio di classic rock dei seventies, mi sono venuti in mente i Free e la Bad Company. Della cover degli Sweet abbiamo già detto, ci rimane solo il  lungo pezzo finale, “Kill Us All” di quasi 8 minuti, una lunga cavalcata riconducibile ancora al periodo Sabbath con Toni Martin, e se escludiamo un suono delle chitarre decisamente meno heavy , un brano che non avrebbe sfigurato su “Headless Cross”. Giudizio sicuramente positivo per il secondo sforzo della band svedese, se le band citate sopra rientrano nei vostri ascolti usuali troverete sicuramente “Nightwalker” un disco interessante.

 

 

 

 

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Tempi Supplementari 11 febbraio 2019
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