Secondo il “Report sulla chiusura degli esercizi di vicinato” più di 10 mila piccoli negozi in tutta Italia chiuderanno da qui al 2025 e gli effetti non sono da ritrovarsi solo nelle conseguenze della pandemia. A riportarlo è una ricerca condotta su scala nazionale da Federconsumatori, in collaborazione con Confesercenti e aggiornata a giugno 2021. Secondo lo studio effettuato la categoria in cui si prevede il maggior numero di cessazioni rimane quella relativa al commercio al dettaglio di carni e prodotti di carne. Saranno infatti 7.309 le macellerie e affini costrette alla chiusura nei prossimi anni. L’allarme, però riguarda anche le categorie relative al commercio al dettaglio di beni primari quali il pane, la frutta e la verdura, nei quali si prevedono, rispettivamente, 266 e 894 chiusure al 2025. In totale 10.503 attività che spesso, trattandosi di esercizi a conduzione familiare, corrispondono alla perdita dell’unica fonte di reddito di intere famiglie. Considerando le variabili che possono intervenire nelle dinamiche del commercio al dettaglio e nel settore dei consumi, la ricerca stima che nel 2025 la riduzione degli esercizi commerciali di piccole dimensioni oscillerà tra il -6,9% e il -8,4%.
A Bergamo e provincia, secondo i dati della Camera di Commercio, da gennaio a dicembre 2021, le chiusure annuali di negozi di prodotti alimentari, bevande e tabacco sono state 61 su 1.269 attività, dato che si aggiunge al già esiguo rapporto fra negozi alimentari di vicinato e numero di abitanti in tutta la provincia. L’attenzione, dunque, è massima, perché la ricerca nazionale mostra una tendenza ben evidente e irreversibile già prima dell’inizio della pandemia e una profonda difficoltà del mondo delle botteghe e dei piccoli piccoli commercianti e artigiani. Da settembre 2009 a settembre 2019, in Italia, sono state circa 208.000 le botteghe artigiane e i piccoli negozi che hanno chiuso i battenti, portando alla perdita del posto di lavoro per oltre 520.000 addetti. Ad essere maggiormente penalizzati sono alcune tipologie di negozio che risultano di vitale importanza per l’acquisto di beni di prima necessità come pane, prodotti di pasticceria freschi, frutta e verdura e carni.
Esaminando solo il periodo pandemico, invece, l’Istat, rileva che la prospettiva di chiusura per le imprese è determinata dall’elevata caduta di fatturato (oltre il 50% in meno sul 2019) che ha riguardato il 74% delle imprese e dal lockdown (59,7% delle imprese). I vincoli di liquidità (62,6% delle unità a rischio chiusura) e la contrazione della domanda (54,4%) costituiscono i principali motivi, i vincoli di approvvigionamento lato offerta sono un vincolo più contenuto (23%).
Mario Rossoni, titolare dell’omonima macelleria a Verdello, è presidente del Gruppo Italiano Carni Equine Fiesa Confesercenti e membro di giunta Fiesa: «Recentemente abbiamo vissuto una situazione doppiamente drammatica: quella del paese assediato dal virus e la nostra personale dell’azienda. Ora se si vuole far ripartire il sistema delle piccole imprese non occorrono finanziamenti o altro, serve una riforma fiscale che tagli oneri e burocrazia».
Antonio Terzi, presidente di Confesercenti Bergamo: «Siamo molto preoccupati, anche se non sorpresi, dalle prospettive indicate da questa ricerca. Il commercio è investito da una “tempesta perfetta”, nella quale alla pandemia si aggiunge anche l’esplosione dei costi energetici e burocratici. Ma il tratto principale di questa crisi risiede in scelte politiche datate che vanno riviste al più presto, coinvolgendo anche i consumatori e le loro rappresentanze. È virtuoso un sistema che, spingendo verso una concorrenza senza regole e senza controllo, provoca solo chiusure, desertificazione, crisi dei nuclei familiari degli imprenditori che chiudono e impossibilità per i cittadini di avere servizi essenziali a portata di mano?»
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