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Ardesio, pienone alla Scasada del Zenerù

È tornata la folla, alla “Scasada del Zenerù”. Migliaia di persone, come forse non si erano viste nemmeno negli ultimi anni pre pandemia, hanno raggiunto ieri sera (martedì 31 gennaio) il centro di Ardesio per partecipare al rito di cacciata dell’inverno. Segno di una tradizione più viva che mai, capace di rinascere ancora una volta dopo due anni in forma ristretta a causa del Covid. Non per niente il simbolo di Ardesio è l’Araba Fenice, uccello mitologico che riprende vita dalle proprie ceneri.

Zenerù, il “gennaione”, simbolo dell’inverno e della brutta stagione, quest’anno ha tentato la fuga in alto. Flaminio Beretta, l’eremita che escogita il tema di ogni edizione, lo ha immaginato intento a scalare il campanile del Santuario della Madonna delle Grazie. Ma Zenerù, come certe figure della mitologia, è destinato a compiere all’infinito il proprio destino. Così, è stato prima spaventato e allontanato dal frastuono di campanacci, corni, tamburi, raganelle e tutto quanto fa rumore, e infine condotto al rogo.

Il carro realizzato dal gruppo dei “costruttori” in base alle indicazioni di Flaminio Beretta è partito dalla zona del Ponte Rino seguendo poi il percorso tradizionale. Ad aprire il corteo il gruppo ospite “I foghi de San Martin de Pàrdàc”, da Predazzo, in Trentino. Ma c’erano anche i Pisaège di Valle di Saviore, tradizione simile a quella di Ardesio, e uno striscione dell’Istituto agrario “Mario Rigoni Stern” di Bergamo. A seguire tantissime persone (soprattutto giovani) con i loro campanacci e infine la folla di chi, semplicemente, voleva partecipare.

Dopo la partenza, il corteo ha fatto tappa al parcheggio del ristorante “La Piana” per la sosta dedicata al vin brûlé. Poi il ritorno verso il Ponte Rino per imboccare le strette vie del centro storico fino alla seconda sosta in piazza Bonvicino Moretto. Il corteo ha ripreso a sfilare verso la parte bassa del centro, ha compiuto un giro attorno alla chiesa parrocchiale per dirigersi infine verso il piazzale della biblioteca, luogo del falò conclusivo. E lì, ancora una volta, è stato possibile rendersi conto di quanta gente c’era: accalcata vicino alla transenne o sul declivio che permette di vedere il piazzale dall’alto.

Tolto dal rimorchio che lo trasportava, il fantoccio è stato appoggiato sulla piattaforma preparata per il rogo. Una volta incendiato, l’allestimento ha fatto presto a consumarsi. Alte fiamme si sono levate nel cielo, portandosi dietro tutto ciò che l’inverno rappresenta. Attorno è iniziato il ballo dei campanacci: tantissimi con le loro “cioche” hanno cominciato a girare attorno al falò, come in un rituale d’altri tempi.

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