In dieci anni, il mondo del lavoro bergamasco ha visto più che raddoppiare il peso percentuale dei lavoratori over 50: i lavoratori più anziani in servizio sono aumentati del 70 % circa, mentre la parte più giovane è cresciuta del 30%. Questo invecchiamento della forza lavoro tocca ogni settore dell’economia orobica, dal commercio agli uffici pubblici, dall’industria meccanica ai servizi, all’edilizia. Un mondo del lavoro vecchio e non adatto ai giovani, perché ancora fermo su modelli e proposte non in grado di attrarre le nuove generazioni, secondo l’analisi della Cisl di Bergamo.
A livello regionale, secondo UnionCamere, torna a essere la fascia sopra i 50 anni quella caratterizzata da una maggiore espansione (+84mila lavoratori, pari al +5,2%), come avvenuto negli anni precedenti. Questo risultato si deve sia al processo demografico, che aumenta la dimensione delle fasce più anziane della popolazione, sia ai provvedimenti legislativi che hanno via via ritardato l’età necessaria per il raggiungimento della pensione.
Per quanto riguarda Bergamo, i dati della provincia testimoniano che le assunzioni aumentano nell’ultimo anno solo per gli over 54 anni (+2%) e soltanto tra le donne senior che registrano una variazione del +11,4% sull’anno precedente e uno stacco netto, anche nella fascia femminile di età tra i 45 e i 54, negli anni post Covid. Le assunzioni di giovani (fino ai 29 anni di età) si sono invece mantenute sugli stessi livelli dell’anno precedente.
Secondo uno studio di Adapt, «continueremo a vedere lo svuotamento delle fasce di lavoratori più giovani e lo spostamento verso le fasce mature. Di sicuro la forza lavoro anche a fine 2025 sarà più vecchia di oggi».
In futuro, secondo uno studio Cisl, gli under 30 in ingresso nel mondo del lavoro non saranno sufficienti a mantenere stabile la quota di giovani lavoratori, per via della crisi demografica che non accenna ad arrestarsi (e anzi evidenzia una tendenza all’accelerazione); e dall’altro, i giovani occupati di oggi non basteranno a “compensare” domani la quota degli over 55 in uscita: ciò peserà su tante singole imprese e inevitabilmente sull’intero comparto.
«Una dinamica che rischia di avere ripercussioni pesanti: a partire da un’aggravata difficoltà di reperimento di nuovi lavoratori e da un difficile ricambio generazionale del mercato del lavoro».
«D’altronde – dice Luca Nieri, segretario provinciale Cisl – il lavoro soddisfa sempre meno. Negli ultimi 10 anni il numero di persone che esprimono sentimenti meno motivati verso il lavoro ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 20 anni. Uno scarso investimento nell’attività lavorativa peggiora la produttività, fa crescere il turn-over, destabilizza i team di lavoro, riduce la spinta verso l’innovazione. Tutte tematiche che acquistano ancora più rilevanza per le nuove generazioni, che arrivando da una condizione di benessere più elevato guardano al contesto lavorativo con esigenze diverse da quelle del loro padri. Creare un ambiente di lavoro basato su fiducia, cooperazione e benessere è un obiettivo non più rinviabile, come attivare percorsi di valorizzazione sia personali che professionali, attraverso progetti di flessibilità e spazi di conciliazione».
Per il 46% dei giovani delle nuove generazioni la flessibilità del luogo di lavoro è essenziale, mentre per il 51% lo è anche quella di orari. Da non sottovalutare poi che una percentuale significativa (48%) considera la possibilità di lavorare da remoto come un elemento non negoziabile nella scelta di un datore di lavoro.
«Questa generazione esprime un chiaro desiderio per condizioni di lavoro che si adattino alle proprie esigenze personali, evidenziando una richiesta di maggiore autonomia e un rifiuto di ruoli che mancano di flessibilità. Il loro approccio al lavoro è fortemente influenzato da aspettative di maggiore “work life balance” (bilanciamento tra vita e lavoro, ndr), nonché da una richiesta di allineamento con i valori aziendali in termini di leadership, sostenibilità e diversità. Tuttavia, il 40% ha la sensazione di non essere pienamente compreso sul posto di lavoro. La contrattazione collettiva, soprattutto quella di secondo livello, può avere un ruolo molto importante: contrattare flessibilità sugli orari di lavoro, smart working, percorsi di crescita professionale, incrementare formazione continua e favorire maggiore partecipazione alle dinamiche dell’azienda, tutti elementi che valorizzano la persona in una logica di vera e propria risorsa per l’impresa, al fine di creare un ambiente di lavoro più sicuro e adatto alle persone»
«C’è la necessità per i datori di lavoro di adottare strategie di gestione del personale più personalizzate, che tengano conto delle diverse priorità e aspettative delle proprie persone. Adeguare le politiche lavorative alle esigenze di ogni generazione – conclude Nieri – può consentire, infatti, di aumentare la soddisfazione e la fidelizzazione dei talenti, creando un ambiente lavorativo più inclusivo e produttivo».