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Giornata della Memoria, quando gli ebrei erano confinati o nascosti

Di quanto hanno vissuto gli ebrei durante la persecuzione nazifascista non si potrà mai scrivere abbastanza: impossibile rappresentare la tragedia dei loro patimenti e delle loro vicissitudini. Con il passare del tempo le vicende si fanno sempre più lontane, eppure si possono ancora aggiungere nuove pagine, come quella degli ebrei prima confinati e poi nascosti nei paesi dell’alta valle Seriana tra il 1941 e il 1945.
Dagli archivi comunali, per anni dimenticati o semplicemente sottovalutati, da vecchi faldoni ingialliti dal tempo affiorano nomi, volti e storie.
Sono documenti che testimoniano la presenza di un numero importante di persone perseguitate e confinate. Le ricerche sono in corso da un paio di anni, ma molto è già stato tolto dall’oblio. L’archivista Bernardino Pasinelli ne parlerà nell’ambito del XVIII ciclo “Fonti e temi di storia locale” organizzato dal Centro Studi Archivio Bergamasco, nel seminario da titolo: «Eravamo come sospesi nel nulla». Ebrei internati liberi nel Bergamasco (1940 – 1943), venerdì 5 febbraio 2016, ore 17,30 allo Spazio Viterbi del Palazzo della Provincia di Bergamo, in via Torquato Tasso 8. Bernardino Pasinelli sarà anche ospite a Decoder mercoledì 20 gennaio alle ore 20,30 (Antenna2 canale 88).

Il Commissario prefettizio di Clusone invita Paola Pegurri a mettere in vendita la nuova rivista "La difesa della razza", 6 ottobre 1938 (Archivio Storico del Comune di Clusone)
Il Commissario prefettizio di Clusone invita Paola Pegurri a mettere in vendita la nuova rivista “La difesa della razza”, 6 ottobre 1938 (Archivio Storico del Comune di Clusone)

A Clusone ne arrivarono una cinquantina. A Rovetta cinque o sei. Nel Bergamasco furono internati oltre 130 ebrei in una ventina di Comuni. «Venivano principalmente da Milano – racconta l’archivista Bernardino Pasinelli – da una numerosa comunità cittadina». Il loro destino era segnato dai tracciati della rete ferroviaria. Dai campi di concentramento di Ferramonti di Tarsia in Calabria, di Tortoreto (Teramo) e altri ancora, venivano spostati a bordo di vagoni e destinati a località isolate con un presidio dei Carabinieri, allora oltre 600 in tutta Italia. Alle stazioni dell’Arma dovevano presentarsi ogni giorno per porre una firma su un registro. Era così impossibile per loro allontanarsi da quei borghi. «Anche se lontani – continua Bernardino – erano in comunicazione tra di loro. Si conoscevano e si scambiavano consigli anche su dove andare. Quelli a Clusone dialogavano con quelli alloggiati a Gromo,  a Rovetta, a Sovere, a Gandino, dove da tempo sappiamo che si sono salvate una cinquantina di persone».
Ma oltre a quelli alloggiati ufficialmente, in alta valle giunsero ebrei anche in segreto, nascosti e rimasti invisibili per tutto il tempo. «Chi aveva notato qualcosa di sospetto non aveva parlato – racconta l’archivista – e a guerra finita in molti si sorpresero dell’esistenza di persone rimaste nascoste così a lungo. A Rovetta ad esempio, paese in cui erano state internate ufficialmente cinque o sei persone, trovarono rifugio una ventina di ebrei». E a raccontare queste storie sono i documenti esaminati negli archivi ed anche i racconti orali, il sentito dire di alcuni amici e parenti di chi sapeva e ha nascosto e aiutato gli ebrei.

Il Podestà di Rovetta con Fino risponde alla Prefettura (Archivio del Comune di Rovetta).
Il Podestà di Rovetta con Fino risponde alla Prefettura (Archivio del Comune di Rovetta).

«“Nessuno degli appartenenti alla razza ebraica ha preso dimora qui”: è quanto scrive – spiega – il Podestà locale il 3 novembre del 1943 a seguito della richiesta di informazioni del 23 ottobre 1943 effettuata dalla Prefettura di Bergamo su indicazione del Comando Militare Germanico. Ed è probabile invece che l’autorità locale ben sapesse che non era così. Alcuni avevano certamente preso la via dei monti per arrivare in Svizzera, ma molti erano nascosti nelle soffitte e nelle cantine, nelle baite e nei conventi, aiutati da persone come don Giuseppe Bravi e dalle suore sacramentine di S. Lorenzo e di Songavazzo. Inoltre a Rovetta con Fino vi erano oltre 300 sfollati a causa della guerra e dei bombardamenti su Milano e dintorni, fra cui dodici profughi delle “Terre invase”, fuggiti da Napoli e Reggio Calabria dopo lo sbarco degli Alleati».
L’archivio di Clusone custodisce una documentazione importante sulla quale sta indagando Mino Scandella, presidente del Circolo Culturale Baradello. «Ogni nucleo familiare presente aveva un fascicolo dedicato – spiega Bernardino -. Ne sono arrivati una cinquantina, forse anche di più. Molti sono stati trasferiti nei paesi vicini, dove poi si sono nascosti, scomparendo, oltre che nelle soffitte, anche tra le montagne. A Clusone si registra in quegli anni anche il passaggio di cittadini apparentemente provenienti da Paesi lontani: è il caso di alcuni ebrei nicaraguensi, quasi certamente ebrei che viaggiavano con documenti falsi». Si trova anche traccia di corrispondenza censurata, la posta degli ebrei non aveva privacy, poiché essi erano sottoposti al rigido controllo dei confinati.

Lettera di Szafran Israel – ebreo internato a Clusone – che attraverso la Segreteria di Stato Vaticana chiede notizie sul fratello Mordechaj da 14 mesi disperso e che non verrà più ritrovato: “Siamo disperati!” (Archivio Storico del Comune di Clusone).
Lettera di Szafran Israel – ebreo internato a Clusone – che attraverso la Segreteria di Stato Vaticana chiede notizie sul fratello Mordechaj da 14 mesi disperso e che non verrà più ritrovato: “Siamo disperati!” (Archivio Storico del Comune di Clusone).

La ricerca non è ancora conclusa anche se ha già dato frutti importanti. «È stato lo storico Sergio Luzzatto che mi ha invitato a indagare sulla presenza degli ebrei nei nostri comuni e, grazie all’autorizzazione della Sovraintendenza Archivistica, alla collaborazione di tanti impiegati comunali, ho iniziato il mio lavoro. Se l’archivio della Prefettura non fosse rimasto danneggiato in uno “scarto d’archivio” nel 1955 (momento in cui alcuni documenti sono stati destinati al macero) oggi si saprebbero più cose. Anche a Sovere ho trovato documenti importanti. Ho scoperto la storia di Israel Szafran, un giovane ebreo che studiava veterinaria a Pisa, internato a Clusone e a Sovere, quindi nascosto sui monti tra Sovere e Rovetta, dove incontra i partigiani della Camozzi ai quali si aggrega, aiutato dal loro capo Bepi Lanfranchi e da don Giuseppe Bravi, con i quali rimase in corrispondenza anche dopo la guerra e dopo avere raggiunto la Terra Promessa di Israele, come molti degli internati».

A Clusone viene trasferito anche un artista di origine ungherese Eugenio Kron, che si firmava come Kron Jeno. L’artista vi arriva il 3 settembre 1941. Pittore e incisore, era in Italia per lavoro dal 1928. Dal maggio del 1942 sino al novembre del 1943 si spostò con la moglie Maria Feldman e la suocera Adele Linder a Sovere. I tre ebrei vennero aiutati dal parroco di Sovere don Giorgi. Il sacerdote falsificò i documenti di battesimo per dimostrare che i Kron erano cattolici. Alcune opere di Jeno Kron sono conservate a Genova nelle collezioni del Comune, a Firenze nella Galleria degli Uffizi, a Milano nel Castello Sforzesco e a Roma nel Palazzo Corsini. Luoghi e persone di Sovere si possono ammirare nelle opere di Kron esposte all’Accademia delle Belle Arti di Budapest. «Chi li aveva ospitati a Sovere – spiega l’archivista Bernardino Pasinelli – mantenne con la famiglia Kron un’amicizia e una corrispondenza che è durata sino alla morte di Maria Feldmann, la moglie di Kron, verso la fine degli anni Ottanta. La Feldmann nelle sue lettere scriveva che ogni suo sogno bello era ambientato a Sovere e quei sogni le regalavano un risveglio più sereno».

Scorcio di Sovere, Eugenio Kron, pastello, collezione privata.
Scorcio di Sovere, Eugenio Kron, pastello, collezione privata.

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