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Bergamo con la valigia, importante premio negli Usa per Enrico

Herb Alpert Young Jazz Composer Award”: è il titolo dell’importante premio conferito lo scorso 7 febbraio a Los Angeles a un ventiseienne di Parre, Enrico Bergamini, che dal 2012 vive negli Stati Uniti d’America. Il riconoscimento, assegnato a giovani compositori con meno di 30 anni, è promosso da ASCAP, una delle maggiori organizzazioni no profit a livello mondiale dedite alla tutela dei diritti d’autore musicali.

Bergamini è l’unico straniero tra i 15 vincitori che si spartiscono equamente l’ammontare di 50.000 dollari (oltre 3300 dollari a testa). Il numero di partecipanti e la giuria, particolarmente qualificata, rendono il premio particolarmente ambito. Bergamini l’ha conquistato con un brano dell’album “Out of place”, edito ad aprile dello scorso anno, ma composto nel 2013: “Virtual Proof”. «Composi il brano con cui ho vinto il premio nel marzo 2013 – afferma Bergamini -, ma ho avuto i soldi per pagare i musicisti e lo studio di registrazione solo di recente. È una composizione che scrissi per un compito di metà quadrimestre. Ho avuto l’idea per la linea di basso iniziale tornato a casa dopo una giornata di lezioni e da lì nel giro di due giorni ho scritto tutto il resto. Il titolo del brano, Virtual Proof, è una scherzo sul titolo di un famoso brano fusion del tastierista Herbie Hancock: Actual Proof».

«Per me – continua – rappresenta un importante riconoscimento degli sforzi e sacrifici che ho fatto da quando mi son trasferito nel Stati Uniti e un traguardo non indifferente per una persona che come me viene da una piccola città».

Perché la decisione di andare all’estero? Perché gli USA? «Ho deciso di andare all’estero – risponde -, specificamente negli USA, perché era mia ambizione studiare al rinomato Berklee College of Music di Boston. Quindi, pochi mesi dopo aver completato i miei studi al Conservatorio di Brescia, mi son trasferito in Massachusetts e nel giro di due anni mi sono diplomato in Jazz Composition. Successivamente ho ottenuto il cosiddetto Artist Visa, concesso ad artisti che vantano risultati di rilievo nel loro campo, e mi son trasferito a New York City dove attualmente risiedo».

La vita negli USA è molto diversa. «Direi dinamica – racconta -. Soprattutto nelle grosse città (come NYC, Los Angeles, Chicago) che vantano un’invidiabile diversità di etnie che credo non esista in quasi nessun’altro posto al mondo. Inoltre, per quanto riguarda l’ambito musicale, il livello generale dei musicisti è notevolmente alto. C’è una concentrazione talmente elevata di talento nella sola New York City che ogni singolo giorno dell’anno è possibile vedere concerti di qualità elevatissima. Ma questo significa pure che per la maggior parte dei musicisti c’è relativamente poco lavoro, visto che ce ne sono veramente troppi condensati in un’area piccola per il loro numero. Tornando alla quotidianità, il costo della vita è molto elevato. Giusto per fare un esempio fino a pochissimi anni fa non esisteva l’assicurazione pubblica e i prezzi delle compagnie private erano (e ancora sono) molto elevati. Alcune persone, non potendo permettersi le cure, non avevano altra scelta se non morire o indebitarsi per il resto della loro vita. E ora che l’assicurazione pubblica c’è, il Partito Repubblicano, che attualmente detiene il potere al Governo, sta cercando di far tutto il possibile per revocarla. Inoltre aggiungo che la qualità del cibo negli Stati Uniti è bassina. Infatti tutti gli Statunitensi che ho conosciuto che hanno avuto l’opportunità di visitare un qualsiasi Stato europeo erano increduli di come il cibo fosse migliore rispetto a quanto erano abituati. Benché tutto questo dipinga un quadro negativo, non intendo negare che gli USA siano la nazione delle opportunità. Sono molte le storie di piccole start-up che nascono dal nulla e nel giro di pochi anni, se non mesi, diventano grosse compagnie dal valore di milioni di dollari e le opportunità per guadagnare sono innumerevoli. E il motivo per cui io son ancora negli Stati Uniti, dopo 6 anni, è che attualmente sto facendo più soldi di quanto penso ne farei in Italia. Abbastanza da giustificare la mia permanenza nonostante l’elevato costo della vita».

Nella rete di contatti di Enrico negli Stati Uniti non ci sono molti bergamaschi. «Ci sono un po’ di giovani italiani – spiega -. Personalmente non ne conosco troppi, sono in contatto solo con quelli che conobbi a Berklee e come me si sono trasferiti a NYC. Non dubito ce ne siano molti di più di quanto immagini. Se la memoria non mi inganna, l’unica bergamasca che ho conosciuto negli Stati Uniti è una cugina di mio padre; ragazza che risiede in un paese a Nord di Boston».

Enrico Bergamini in Italia ha frequentato il liceo Scientifico Fantoni di Clusone e si è diplomato al Conservatorio di Brescia in sax contralto. «Il mio modello come compositore è Randy Brecker, co-leader di una delle più famose e influenti fusion band degli anni ‘70 e ‘80 e, ai suoi tempi, uno dei più richiesti trombettisti per registrazioni e concerti. Non c’è uno stile musicale che preferisco rispetto agli altri. In nessun ordine particolare ascolto: jazz, fusion, metal, musica elettronica, rock, progressive rock».

Enrico Bergamini, foto di Rosa Amanda Titi Tuira

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