Album of the week

BLACK STONE CHERRY – Family Tree

Avevamo lasciato i Black Stone Cherry l’anno scorso con il loro personale tributo al blues con l’ep “Black To Blues” e ora arriva quello che, escludendo ep e disco dal vivo, è il loro sesto album di una carriera cominciata con la pubblicazione del primo omonimo disco nel 2006.

il quartetto del Kentucky ha sempre mantenuto la stessa formazione degli inizi con Chris Robertson alla voce e chitarra, Ben Wells alla chitarra, Jonathan Lawhon al basso e John Fred Young alla batteria. Chi ha seguito la carriera dei Black Stone Cherry dagli inizi sa che la band ha strada facendo modificato il proprio sound, partito da un robusto southern rock degli inizi, passando per un momento quasi “modern rock” per poi arrivare ad una via di mezzo con l’ultimo album finora pubblicato, ovvero “Kentucky” del 2016. Non nego che personalmente ritengo la prima fase della carriera dei nostri quella più interessante, soprattutto il secondo disco, “Folklore and Superstition” del 2008, rimane ad oggi uno dei migliori dischi di southern rock dell’era moderna, anche se la popolarità su scala più vasta è arrivata con i dischi successivi. Questo nuovo lavoro continua sulla via tracciata dal precedente disco citato prima, se vogliamo ritornando un pochino indietro ai primi lavori, anche se non completamente. Infatti i primi due singoli, “Burnin” e “Bad Habit” piazzati in apertura, sono due classici pezzi di hard rock abbastanza “moderno”, ricordando alcune cose del passato come “Me and Mary Jane” o “White Trash Millionaire”, di fatto il tipo di canzoni che hanno permesso ai nostri di allargare il proprio mercato rispetto agli inizi. Ma già dalla canzone numero tre , “New Kinda Feelin'”, si tornano a respirare le atmosfere del primo album, southern rock’n’roll con un bel pianoforte in evidenza. Stesso discorso per la successiva “Carry Me On Down The Road”, con un lavoro delle due chitarre che profuma di Allman Brothers Band lontano un miglio. E per restare in tema ecco arrivare “Dancin’ In the Rain”, in cui alla voce e chitarra troviamo Warren Haynes, per un altro grande pezzo di rock sudista. Un Chris Robinson in grande spolvero ci guida attraverso la ballata “My Last Breath”, per poi dare sfogo all’elettricità dirompente di “Southern Fried Friday Night”, canzone che già dal titolo non può che rimandare al vecchio zio Nugent. “Aint Nobody” è arricchita da chitarra slide e cori femminili per un brano che anche qui rimanda ai primi due lavori, seguita a ruota da “James Brown”, in cui è possibile apprezzare il grande lavoro di John Fred Young, batterista dotato di una “botta” fuori dal comune. Un disco che nonostante la notevole durata ( 13 canzoni ) non conosce cali di tensione, se è vero che verso la fine arrivano altri due grandi pezzi come ” I Need a Woman” e “la conclusiva “Family Tree”, splendido affresco dell’America rurale e pregno di quel mood che abbiamo spesso riscontrato negli ultimi dischi dei padri Lynyrd Skynyrd. A conti fatti davvero un grande disco questo, che nella mia personale classifica va a posizionarsi subito dietro i primi due capolavori citati precedentemente.

 

 

 

 

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