Mentre si continua a non abbassare la guardia e a rispettare le regole volte al contenimento della diffusione del Coronavirus, il mondo della politica (e non solo) è al lavoro per la pianificazione della cosiddetta fase 2.
Anche se si parla di ritorno alla normalità, è probabile che la nostra vita cambierà sotto tanti aspetti.
Anche la mobilità probabilmente non potrà essere più quella di prima. E il cambiamento potrebbe correre sui pedali di una due ruote.
Ecco a tal proposito un’intervista a Claudia Ratti, presidente di Aribi Bergamo (Associazione per il rilancio della bicicletta).
Nelle ultime settimane abbiamo abbiamo visto in bici solo persone dirette al lavoro, poche ma nemmeno casi isolati. Un’occasione per riscoprire una buona pratica?
In questi giorni abbiamo assistito a casi di persone che per esigenze lavorative, si trasferivano con la bicicletta sul posto di lavoro. Certamente dettata da buone pratiche questa modalità ma forse in alcuni casi anche suscitata dalla paura del mezzo pubblico ritenuto “poco sicuro” in quanto potenzialmente ambito in cui la distanza sociale viene meno. È altresì vero che i mezzi hanno continuato a circolare perlopiù vuoti o con un ridotto carico per via del decreto che ha limitato a poche le attività il cui codice Ateco consentiva lo svolgimento regolare. In alcuni casi per assurdo sono stati fermati codesti ciclisti per verificare la veridicità della autocertificazione. L’unico caso che mi è parso eccessivo nella misura del provvedimento, è quello del ciclista di un servizio consegna che ha percorso l’interno di un parco, seguendo le indicazioni del navigatore per recapitare un pasto, in quel di Milano. Al povero sventurato che sulla bicicletta lavora, è toccata la sanzione. In questi casi il buon senso avrebbe dovuto imperare. Anche Andrea Scotti, insultato perché andava al lavoro in bici, si è munito di cartello per motivare la sua presenza in strada, perché la ciclabile è stata chiusa… insomma cose davvero deplorevoli che ci fanno comprendere che è necessario parlarne. Allo stesso ho manifestato come Associazione, la nostra vicinanza e disponibilità.
La bici potrebbe essere un mezzo su cui scommettere per la ripartenza?
La bicicletta è da sempre simbolo di sostenibilità, energia positiva, benessere: anche in tempi di coronavirus assolve al meglio sia all’imperativo del social distancing, sia a quello della forma fisica, sinonimo di difesa immunitaria. La bicicletta è certamente il mezzo su cui fare leva per la ripartenza specie adesso che il trasporto collettivo, in una fase davvero difficile della sua lunga storia, sarà più contingentato e meno praticabile di un tempo e le automobili dovrebbero aumentare. Il trasporto pubblico locale sposta fino al 55% di cittadini nelle grandi città, va aggiunto l’enorme movimento di persone che usano i treni pendolari.
Il ritorno alla normalità sarà molto… trafficato, se è vero che sui mezzi pubblici si dovranno tenere le distanze.
Quali politiche potrebbero essere introdotte per favorire il suo impiego?
Buone politiche dovrebbero a questo punto incentivarne l’utilizzo, l’acquisto e promuoverne il grande valore anche in termini di promozione della salute.
Abbiamo visto come è cambiato l’aspetto della nostra Regione vista dall’alto, dove la coltre di inquinamento insisteva in termini anche oltre quelli ragionevoli, il mondo si è fermato, si sono fermate le industrie, ridotto il traffico veicolare e il cielo è diventato più azzurro. Vero che alcune rilevazioni hanno attestato che le PM10 purtroppo ancora insistono e hanno anche origini che non si riconducono al traffico veicolare, ma un passo in avanti si è fatto comunque. A questo punto la politica, quella buona, deve imprimere un segno forte. La creazione di ciclabili pop-up, ovvero l’individuazione e il tracciamento di linee sulle carreggiate, che ne restringano la larghezza per ricavarne un percorso dedicato alle biciclette, sarebbe un primo passo.
Sono un’infrastruttura leggera ed economica, ottenuta delimitando provvisoriamente parte della carreggiata esistente con semplice attrezzatura da cantiere e vernice, permettendo così di aprire un corridoio di sicurezza alle biciclette, aumentandone anche l’efficienza e la velocità. Su scala urbanistica, il risultato è una rete di mobilità d’emergenza.
La prima città a riconoscere il ruolo delle ciclabili temporanee come arma contro il contagio è stata Bogotà, fin da metà marzo.
Sono ormai anni che durante i festivi la capitale della Colombia chiude al traffico la gran parte degli assi viari cittadini per favorire la ciclabilità. Le Ciclovías – così si chiamano questi percorsi temporanei – si sono rivelate veri e propri anticorpi anche durante l’attuale crisi sanitaria.
Sono ormai diverse le città che stanno allestendo reti di mobilità di questo tipo per scongiurare il rischio di contagio e proteggere l’aria e lo spazio pubblico ripuliti dal lockdown.
Berlino e altre città europee si stanno mobilitando per individuare gli stessi corridoi ora emergenziali ma che potrebbero ridisegnare in futuro la mobilità delle città.
E in Italia? Sul fronte governativo l’assenza di un diverso orientamento sui temi della mobilità non sembra una buona notizia. Si intravede piuttosto un ritorno al business as usual, senza riflettere sulle opportunità offerte dalla ripresa.
Servirebbero interventi del genere, uniti ad incentivi per l’acquisto di biciclette elettriche che oggi sono una risposta incredibile all’emergenza.
Se la politica nazionale si impegnasse seriamente su questo tema, risulterebbe più facile per i sindaci creare i corridoi protetti completando le risposte necessarie ad una ripresa sana e moderna.
È un imprinting forte quello che si attende, una rinascita vera, un vero cambiamento. Se penso alla nostra provincia, non posso non pensare al Progetto ABT che ha visto insieme Il Master di San Vigilio, Aribi e l’Ing. Marco Baudino proporre alle autorità governative, Regione e Provincia, un progetto innovativo in alternativa alla ennesima strada Bergamo-Treviglio. Si tratta di una ciclostruttura interamente pensata per mezzi elettrici, che corre lungo la direttrice del binario del treno, una struttura che integra il trasporto, innovativa, sulla quale sperimentare anche la vendita dei prodotti a Km Zero, una struttura simile alla autostrada delle biciclette, ma innovativa dal momento che è concepita per il transito di mezzi elettrici fra cui biciclette, overboard, mezzi per persone con disabilità, quadricicli.
Se fino a ieri eravamo visti come “sognatori”, oggi dopo questa grande lezione che ci è stata data, dobbiamo sperare che il territorio ci guardi come una possibile risposta. Una risposta che non ha colore politico. Questo è un asse che unisce il progetto alla gente, evitando influenze politiche.
La bici elettrica offre possibilità anche a chi deve percorrere tratte più lunghe. Cosa manca per salire in sella una volta per tutte?
La bicicletta elettrica come accennato sopra, è la chiave di volta. La risposta intelligente, così come il quadriciclo. Servono sforzi da parte della politica di agevolarne gli acquisti e servono sforzi di quest’ultima anche per agevolare le aziende che dovranno strutturarsi per accogliere i lavoratori che sopraggiungono al lavoro in sella. Spogliatoi, docce, rastrelliere sicure, incentivi a chi lascia a casa l’automobile e arriva al lavoro in bicicletta. Oggi con la grande crisi serve un aiuto anche alle aziende che si impegnano a promuovere la mobilità sostenibile. ATS ha emanato dei protocolli e abbiamo l’esempio virtuoso di numerose aziende anche della nostra Provincia, che hanno aderito a cui Aribi ha già prestato opera volontaria per incontrare i dipendenti per gli incontri motivazionali.
Manca la tabella di marcia che deve essere condivisa da tutti, governo, regioni, comuni, aziende. Bisogna essere tutti concordi e determinati e forse potremmo davvero uscirne cambiati in meglio.
Si invocano cantieri per fare ripartire l’economia. È il momento buone per le piste ciclopedonali?
Come ho anticipato prima, oggi i cantieri, se intesi come “grandi opere” con grandi costi di progettazione, costi di realizzazione etc… i famosi Biciplan, quelli che non sono mai decollati, quelli che sono costati una follia magari in campagna elettorale, da amministrazioni uscenti, ecco quelli possono attendere. Oggi serve essere pronti alla ripresa con le ciclabili pop-up di un colorato manto di… carreggiate. Piste e corsie fatte al momento, emergenziali, saranno queste ultime probabilmente tracciate laddove anche un “macro progetto” le avrebbe fatte passare, ma ad oggi a nostro avviso, da Aribini, puntiamo sul motto “Minima spesa, massima resa”. Ne abbiamo un esempio evidente sul territorio di Treviglio, dove dall’iterazione di tre associazioni ARIBI, Team GEROBIKE e LEGAMBIENTE BASSA BERGAMASCA e l’amministrazione Comunale, si è data una prima lettura del territorio, una interpretazione condivisa delle esigenze e la risposta che si chiama BICIPOLITANA TREVIGLIO, realizzata oggi in tre linee su sei, la prossima sarà nei prossimi mesi e non ha avuto grandi costi se non cartellonistica, vernice e qualche adattamento che non ha comportato opere da cantiere. Si può fare, così come si può imporre il 30 Km/h per garantire la sicurezza e la convivenza ad auto e biciclette. Bisogna puntare su soluzioni immediate ed efficaci, volere è potere.
Aribi auspica che anche il forzato ricorso allo smartworking, insegni che laddove non necessari, gli spostamenti casa lavoro, vadano evitati e auspica che questa pratica prenda sempre più piede oltre alla sollecitazione alle amministrazioni di ogni livello, dei tempi della città. Da anni si spingeva per un ricalcolo dei tempi dell’avvio e termine di quelle attività che non necessariamente devono coincidere con gli orari della scuola piuttosto che delle banche, degli uffici pubblici…anche questo ripensamento porterebbe grandi vantaggi e decongestionerebbe mezzi pubblici, stazioni, strade…