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Emergenza coronavirus, Peracchi (Cgil): «Chiudere in modo mirato»

Coprifuoco, chiusure più o meno pesanti, zone rosse circoscritte, lockdown nazionale, totale o light: tutto il ventaglio di possibilità tra le misure anti-Covid più dure è tornato purtroppo all’ordine del giorno in queste ore di rinnovata emergenza sanitaria. Sul tema, interviene Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil di Bergamo.

«Un lockdown meno rigido dell’ultimo, ma sempre un lockdown, potrebbe essere un orizzonte immaginabile nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore – osserva Peracchi -. Servizi e attività lavorative essenziali aperte, chiusura transitoria del resto, con possibilità (speriamo) di uscire di casa per passeggiare e prendere una boccata d’aria nel rispetto delle norme sul distanziamento e utilizzando i dispositivi di protezione individuale, limitazioni della mobilità entro perimetri provinciali o cittadini? Scuole infanzia e primarie aperte, secondarie e università didattica mista o a distanza? Sembrerebbe che quasi tutte le previsioni scientifiche sull’andamento della curva pandemica e, soprattutto, sull’intasamento del sistema sanitario indichino quella direzione, se non un’altra ancora più drastica. Meglio chiudere il rubinetto prima, prima che si allaghi tutto e troppo in fretta».

Questo, aggiunge il segretario provinciale della Cgil, «con un corposo sostegno economico e sociale per tutti i soggetti che andrebbero in difficoltà, così come fatto finora a livello generale, pur con tutti i limiti e le possibilità di miglioramento dei provvedimenti messi in campo. Le risorse, nazionali ed europee, per aiutare a traguardare l’inverno e, probabilmente, l’inizio del prossimo anno, ci sono. Vanno spese bene in un giusto mix di risarcimento e solidarietà per poi trasformarle in investimenti al momento della ripresa, che comunque, rivisitata, ripensata e riqualificata, ci sarà».

Peracchi aggiunge che «dopo la tutela della salute, la tenuta del sistema economico e produttivo è un elemento imprescindibile, prioritario, da tenere sempre in considerazione. La tenuta del lavoro, di tutto il lavoro, da quello dipendente a quello autonomo o parasubordinato, alle imprese. Dal punto di vista sociale ed economico una stretta iniziale forte è più conveniente di uno stillicidio di procrastinazioni. Per non parlare poi degli effetti di raffreddamento dell’epidemia sanitaria che si vedrebbero presto».

Il segretario della Cgil bergamasca sollecita inoltre le responsabilità a livello locale. «Regioni e territori che non hanno mai deciso di chiudere quando invece potevano farlo, rimpallano ora le responsabilità sul governo. Oggi lo possono fare ancora di più e le restrizioni mirate in aree circoscritte del paese, piuttosto che restrizioni generalizzate, potrebbero aiutare a contenere i danni in misura maggiore. Spero non sia caduta nel dimenticatoio la discussione sulla zona rossa sì o no ad Alzano e Nembro ai primi di marzo. In alcuni territori prima si chiude, prima si riapre, in maggiore sicurezza (anche se questa volta sarà bene agire con maggiore cautela e gradualità)».

«Alcune Regioni – prosegue Peracchi – hanno indetto referendum inutili per chiedere più autonomia ma alla prova dei fatti, onerosa, dell’assumersi precise responsabilità hanno ben pensato di glissare. Ricordo che già oggi la Costituzione assegna a loro livelli di responsabilità e autonomia in materia sanitaria e di trasporto pubblico locale, due tra i fronti più problematici e critici da gestire in questo contesto e programmati in modo quanto meno opinabile dall’estate ad ora».

E infine, «andrebbero organizzati corsi di memoria collettiva e individuale ed andrebbero isolate e denunciate non soltanto le reazioni violente ma anche l’iniezione nell’opinione pubblica di suggestioni pericolose, infondate, negazioniste da parte alcuni esponenti della politica. E non si dica che ci sarebbe violazione della libertà di opinione: semplicemente se si lanciano messaggi fuorvianti e strumentali bisogna assumersene tutta la responsabilità.
Qualcuno si era illuso, me compreso, che il dramma di inizio anno avesse insegnato a tutti – o almeno a molti – ad essere più responsabili, più tolleranti, più solidali. Così non è stato. Appena passata la paura, l’irresponsabilità e l’egoismo hanno ripreso il sopravvento».

Infine, l’auspicio che «le istituzioni intervengano al più presto, senza ulteriori indugi, “chiudendo” in modo mirato. La speranza è che si ricostruisca uno spirito comunitario di responsabilità e di reciproco aiuto, che tenga conto dei legittimi interessi delle categorie (tutte, a partire dai lavoratori) più penalizzate e che sappia isolare i fomentatori sociali di odio e violenza. Ma, soprattutto che si condivida un comune obiettivo, quello di una migliore tutela generale per poi poter ripartire, il più presto possibile».

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