Metti trecentocinquanta studenti seduti in una palestra e nemmeno una mosca che vola: effetto Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo all’Isiss di Gazzaniga. Questa mattina il professore Remo Morzenti Pellegrini ha incontrato i ragazzi di quinta e quarta coinvolgendoli sul tema “Giovani nel mondo della globalizzazione: tra precarietà e opportunità”. Prima di Morzenti Pellegrini hanno preso la parola per un saluto il dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo, la Dott.ssa Patrizia Graziani e il dirigente scolastico Alessio Masserini.
Il Rettore nel suo incontro non ha voluto presentare l’offerta formativa dell’Università degli Studi di Bergamo, ma ha preferito parlare ai ragazzi degli scenari che dovranno affrontare in futuro e per il quale oggi devono impegnarsi. In anteprima è stato presentato anche lo slogan che guiderà gli sforzi dell’ufficio Orientamento dell’Ateneo nei prossimi mesi e che proprio vuole essere da richiamo sull’investimento che i giovani devono fare su loro stessi: “Il futuro dipende da ciò che facciamo nel presente”.
Il percorso del Rettore è partito dal concetto di “Inverno demografico”. «C’è un saldo negativo tra nascite e decessi – ha detto – che non si registrava dal 1917, dato che va considerato per tutta la programmazione della società, a partire dalle stesse città. Le università stanno riprogettando l’offerta formativa valutando infatti percorsi di formazione permanente. La crisi che stiamo vivendo non è qualcosa di nuovo, se ne contano tante. Di cambiamenti ce ne sono stati, ma oggi è caratterizzato per essere veloce. Le nuove tecnologie sono il regno dell’immediatezza, del clic che rende tutto a portata di mano. Eppure le nuove tecnologie sono lo spazio dell’impazienza. Oggi è il tutto subito prima della fatica. Eppure quello che non riusciamo più a fare in questo mondo mediato dalla tecnologia è immaginare il futuro».
Un’altra parola chiave è la complessità. «A volte ho l’impressione – ha raccontato il Rettore – che siamo in un perenne pronto soccorso. L’emergenzialità ci porta ad affrettare le reazioni e talvolta non consente di pianificare le cose. Serve fermarsi per programmare, soprattutto in relazione alla complessità. Quando modifico qualcosa, in un mondo così connesso, non è possibile vedere tutti gli effetti che possono verificarsi. A ogni modo credo che a volte serva il coraggio di non rispettare quanto pianificato. Anche io pensavo che nella vita fosse importante specializzarsi. Nel mio mondo, Giurisprudenza, ci sono tanti indirizzi e pensavo che nel campo del diritto la cosa importante fosse specializzarsi. Ho scoperto tuttavia che il valore aggiunto è la trasversalità, leggere la disciplina, ma da angoli e visuali diverse. Bisogna essere capaci di fare una cosa molto difficile, cercare un equilibrio tra l’approfondimento di una materia ed essere aperti a tutto».
Altro tema caro all’esperto di diritto: il dovere. «Non esistono solo i diritti. Un diritto esiste solo in relazione a un dovere. I diritti delle future generazioni dipendono dai doveri di quelle presenti. Le università devono ragionare sull’immagine di un bambino che oggi è in prima elementare e raggiungerà la laurea (al più presto) nel 2033. Dobbiamo per questo intuire le professionalità del futuro e guidare le scuole nella riflessione sugli indirizzi utili in questo percorso».
«Una cosa che non dobbiamo smettere di fare è imparare. Anche io in questi primi mesi da Rettore ho avuto questo privilegio: ogni giorno imparo qualcosa. Quello che deve fare uno studente è imparare alla svelta un metodo di studio. Anche io ho scoperto quando studiavo come fosse importante avere un metodo».
«La conoscenza è l’unica cosa che conta oggi – ha spiegato Morzenti Pellegrini -. Il nostro è un territorio che ha vissuto una destrutturazione industriale, un’area in difficoltà in cui si parla di fusioni di banche e di aeroporti. La cosa più importante, quella che resta è la conoscenza. Se riusciamo a radicarla non la sposta nessuno. La formazione in questo ha un ruolo chiave. L’università non deve solo trasmettere informazioni. L’università deve in questa visione formare persone, significa che università e scuola devono aiutarvi a non farvi accettare la realtà, ma devono aiutarvi a farvi cambiare la realtà affinché questa abbia un senso. Le università devono investire sempre di più nella ricerca, fondamentale per alimentare la didattica, ma c’è una terza missione: diffondere la cultura dell’innovazione».
Eppure conoscenza e innovazione non sempre sono promosse da tutti. «La classe dirigente deve seguire due priorità: una buona educazione e un costo del lavoro ridotto a parità di retribuzione. Il problema sta nel fatto che la classe dirigente non investe proprio su queste due voci».
Altro tema: i luoghi comuni. «C’è chi dice che in Italia vi siano troppi laureati. L’Ocse invece ogni anno ricorda che siamo il fanalino di coda in Europa. Altro mito da sfatare: grande è bello. Io sono dell’idea che un’università grande non sia per forza una grande università. Essere piccoli e giovani significa essere flessibili. Infatti la nostra dimensione ci ha proiettato fuori da Bergamo, fino a farci stringere accordi con ben 104 università. Da noi lavorano 90 visiting professor che noi ascoltiamo in quanto ci aiutano a osservarci da dentro con gli occhi di chi viene da fuori. Non abbiamo Medicina? Eppure abbiamo sottoscritto un accordo che ci consentirà dal prossimo anno di aver un corso in Medicina in lingua inglese che porterà i nostri laureati a lavorare nel mondo. Altro luogo comune: non abbiamo un campus. Il fatto è che oggi il nostro campus è la stessa città».
L’Università degli Studi di Bergamo è molto attenta ai cambiamenti sociali in atto. «La nostra azione è stata ispirata dalle difficoltà. Cosa accade nel mondo? Oggi sono in crisi tutti i percorsi tradizionali, gli studenti non si iscrivono più agli indirizzi tradizionali. La cosa più importante è la trasversalità; il valore aggiunto diventa fare convivere le esperienze, aprire nuovi percorsi interdisciplinari. Ed è su questo fronte che ci stiamo muovendo».
«Crescere in queste condizioni economiche – ha concluso il Rettore – significa fare meglio con meno. Dobbiamo necessariamente ragionare su ciò che siamo oggi. Ogni zona deve avere la sua specificità e avere un capitale territoriale. Università, aereoporto, sistema industriale, tutti gli attori devono condividere obiettivi minimi e la sfida è su quanto non ci possono portare via: la conoscenza. Serve consapevolezza dell’investimento che oggi possiamo fare sul nostro futuro».