Se presto ci sarà una cura, efficace e disponibile per tutti, capace di sconfiggere il diabete nei bambini, potremo dire che sarà un successo targato Valle Seriana. Perché il ricercatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano e dell’Harvard Medical School di Boston a un passo da questo risultato che cambierà la vita a milioni di persone ha le radici a Gandellino. E proprio qui Paolo Fiorina, classe 1967, è tornato in questi giorni per partecipare a un incontro promosso dal Lions Club Città di Clusone Valle Seriana superiore. Nella Villa dei Padri Barnabiti ha affrontato il tema del diabete e delle sue complicanze, raccontando il suo percorso e facendo il punto sui risultati delle sue ricerche. Lo abbiamo intervistato a margine dell’incontro.
Com’è che ha fatto del diabete l’oggetto delle sue ricerche? L’oggetto del suo impegno come medico?
«Tutto è nato quand’ero studente di medicina. Mi ha affascinato l’idea che il corpo umano potesse reagire contro un organo che fa parte di noi, il pancreas endocrino. Sto quindi parlando del diabete di tipo 1 nei bambini. Mi ha sempre affascinato questa «pazzia» del corpo umano che attacca sé stesso. È da lì che è nata la mia passione per le malattie autoimmunitarie e per il diabete».
Come sono continuati i suoi studi, soprattutto le sue ricerche in questo campo?
«Le mie ricerche sono partite con una serie di studi osservazionali sugli effetti del diabete, sulle complicanze nei pazienti e via dicendo. Quando poi da Parma mi sono trasferito al San Raffaele nel 1999 abbiamo cominciato a sviluppare la metodica di trapianto di isole pancreatiche e del trapianto di pancreas. Abbiamo aperto questo nuovo mondo della sostituzione della funzione pancreatica, di cui per anni siamo stati i leader in Italia e in Europa. Poi abbiamo sviluppato la fase successiva delle cellule staminali e della terapia immunosoppressiva nell’abito del diabete di tipo 1».
Poi un giorno ha deciso di mandare una mail. Il destinatario stava negli Stati Uniti.
«Lavoravo al San Raffaele, ero molto contento, però ero arrivato a un punto in cui non stavo imparando più. A me non bastava. Mi sono detto: ho bisogno di imparare ancora, di fare il passo successivo. Quindi ho mandato una mail negli Stati Uniti a Mohamed Sayegh, presidente dell’associazione americana dei trapianti. Ho scritto: voglio venire a lavorare da voi. Lui mi ha risposto: vieni. Così, il 12 ottobre del 2004, sono partito per gli Stati Uniti».
Di cosa si è occupato negli Stati Uniti?
«Abbiamo approfondito all’estremo tutto quello che abbiamo fatto in Italia, ma spingendolo verso la ricerca di terapie innovative. Quindi abbiamo messo a punto nuovi protocolli immunologici, nuovi protocolli con le staminali. Ho scoperto un nuovo ormone. È stata un’accelerazione continua».
Quante possibilità ci sono di battere il diabete?
«Tantissime. Tra l’altro, recenti studi dimostrano che il diabete nell’adulto si può sconfiggere o tenere sotto controllo con un approccio alimentare adeguato. Per quanto riguarda il diabete giovanile, gli studi che ho mostrato in precedenza evidenziano come abbiamo curato il 60% dei soggetti affetti da diabete di tipo 1 con un’infusione di cellule staminali associata a immunosoppressori. Quindi, la strada è tracciata. Si tratta ora di ridurre al minimo le complicanze e rendere questa terapia disponibile per tutti».
In quanti anni ci si potrà arrivare?
«Nel 2012 ai diabetici bergamaschi ho detto che in cinque anni avremmo avuto una cura potenziale. E in effetti abbiamo fatto molti passi avanti. Stiamo partendo con una nuova sperimentazione basata sull’uso di cellule staminali ematopoietiche modificate, associate ad una terapia immunosoppressiva minima. Abbiamo messo a punto il prototipo, dobbiamo solo migliorarla e renderla disponibile per tutti».
Importante ripeterlo: per gli adulti sono fondamentali una sana alimentazione e uno stile di vita adeguato.
«Dobbiamo fare di tutto per combattere l’epidemia di sovralimentazione che ci colpisce: mangiamo troppo e consumiamo poco. Dobbiamo invertire: mangiare di meno e consumare di più».
Il video dell’intervista: