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HARDCORE SUPERSTAR – You Can’t Kill My Rock ‘n Roll

Per chi come il sottoscritto segue da sempre la scena sleaze/rock’ n roll , gli svedesi Hardcore Superstar avranno sempre un grande merito, quello di aver tenuto in vita il genere negli anni più bui per il genere stesso, ovvero i primi anni 2000, quando molti altri generi erano venuti avanti spazzando via di fatto una scena già agonizzante e che tentava faticosamente di restare a galla. “Bad Snakers and a Pina Colada” , di fatto il vero esordio a livello internazionale dei nostri, uscito nel 2000, ebbe il grande merito di far “ritrovare” agli appassionati l’entusiasmo per qualcosa che sembrava perso. Ricordo benissimo la loro prima calata italica a Milano, in un locale che penso abbia ospitato quella sera l’unico concerto rock della sua vita, un concerto in cui si ritrovarono tutti i rocker sparsi per la penisola dediti ad un certo tipo di sound. Sarà anche forse per questo che poi la band nel corso degli anni ha sempre avuto un grosso seguito da noi, e ora ridendo e scherzando siamo giunti al disco che celebra i 20 anni di carriera.

Anticipato da diversi singoli, “You Can’t Kill My Rock’ n Roll” include di fatto tutto quello che gli Hardcore Superstar hanno rappresentato in questi 20 anni, anni che li hanno visti cambiare spesso il sound dei loro dischi, mantenendo però fedele l’appartenenza di fondo,  ovvero appunto il rock’n roll. Si passa da pezzi sparati a mille come l’iniziale “AD/HD”, a mid tempo rocciosi come “Electric Rider”, a brani più melodici e da l tiro quasi “moderno” come My Sanctuary” e “Hit Me Where It Hurts”. La tilte track è una vera e propria dichiarazione di intenti, un brano costruito su un refrain da cantare a squarciagola ai concerti, magari per qualcuno eccessivamente ruffiano ma assolutamente coinvolgente. “The Others” è una delle mie preferite del disco, classico sound Hardcore Superstar, con un Jocke Berg sugli scudi e un solo di Vic Zino breve ma efficace. Sulle stesse coordinate si muove “Never Cared for Snobbery” , mentre “Baboon” è forse il pezzo meno riuscito del disco, non brutto intendiamoci, ma abbastanza anonimo. Andiamo verso la fine dell’album e troviamo altre due canzoni riuscite come “Medicine Man” , brano che si avvale di un’ottimo lavoro della sezione ritmica e la conclusiva “Goodbye”, vera dichiarazione d’amore della band vero i propri fan, che anche stavolta non resteranno delusi da quanto fatto dai quattro rocker svedesi.

 

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