“Burn It Down” è il quarto album da studio dei The Dead Daisies, band nata in Australia nel 2012 e diventata nel corso degli anni una vera e propria all star band.
L’unico componente originale rimasto è il chitarrista/fondatore David Lowy, a cui nel corso degli anni si sono aggiunti John Corabi ( Scream, Motley Crue ) alla voce, Doug Aldrich ( Lion, Burning Rain, Dio, Bad Moon Rising, Hurricane, Whitesnake ) alla chitarra, Marco Mendoza ( Thin Lizzy, Whitesnake ) al basso e per ultimo Deen Castronovo ( Journey ) alla batteria, che ha sostituito Brian Tichy ( Whitesnake, Lynch Mob ) proprio all’inizio delle registrazioni di questo nuovo lavoro. Nonostante questo ricambio quasi totale è corretto non definire i The Dead Daisies solo come una sorta di “supergruppo” fine a se stesso ma come una vera e propria band che sta prepotentemente rilanciando l’hard rock fatto in un certo modo, e la loro crescente popolarità è figlia proprio di questo approccio molto classico che soprattutto in chi ascolta il genere da qualche annetto non può che far breccia. Si comincia con “Resurrected” e “Rise Up”, due canzoni solide, hard rock fumante con le chitarre di Lowry e Aldrich in grande evidenza, suoni belli crudi e diretti che mettono subito in chiaro che rispetto al passato la componente più hard del loro suono sarà una delle caratteristiche principali di tutto il disco. La title track è un mid tempo avvolgente, più in linea con il recente passato dei nostri, mentre “Judgement Day” profuma di Aerosmith vecchia maniera che esplode in un ritornello di marca Whitesnake periodo Aldrich. In “What Goes Around” è il nuovo innesto Castronovo a farla da padrone con un drumming ipnotico che permette a Corabi di calarsi perfettamente nella parte, un pezzo intriso di quello spirito hard/blues che mi ha ricordato i Badlands. Alla traccia numero sei arriva l’immancabile cover, cosa questa che in passato non ha risparmiato anche qualche critica ai nostri, che però continuano a tributare i loro idoli senza curarsene troppo, in questo caso è la volta di “Bitch” dei Rolling Stones, qui riproposta in una incendiaria versione che immagino dal vivo farà sfracelli. Nella versione digipack c’è anche un’altra cover come bonus track, ovvero “Revolution” dei Beatles, band peraltro già tributata dai nostri in passato e anche in questo caso trasformata in un fumoso hard rock. Da citare sicuramente anche “Set Me Free”, delicata ballata con un Corabi sugli scudi e “Leave Me Alone”, altra frustata di puro hard rock senza tempo. Disco sicuramente consigliato allora, che gode anche di suoni molto potenti grazie al lavoro della coppia Marti Frederiksen / Anthony Focx in fase di produzione/missaggio, ma ancora più consigliato il vedere la band live, habitat ideale per poter gustare appieno la voglia di divertirsi e di fare musica di questi “ragazzini”….