“Natchez” è l’esordio discografico sulla lunga distanza di questo giovane quartetto proveniente dal profondo sud degli States, Mississippi per l’esattezza ( Natchez è il nome della loro città di provenienza ), e segue l’ep uscito qualche tempo fa che aveva cominciato a far girare il nome tra gli appassionati di Southern Rock.
La band è formata da Travis McCready alla voce, chitarra, armonica e piano, Drew Smithers alla chitarra, Ben Lewis al basso e Burne Sharp alla batteria. L’album è stato registrato in vari studi tra cui i famosissimi Muscle Shoals, dove vere leggende del rock sudista come Lynyrd Skynyrd, Blackfoot e Bob Seger in passato hanno dato vita ad alcuni dei loro capolavori. Nel corso di questi ultimi mesi poi la band ha avuto modo ( e avrà modo nei prossimi a venire ) di dividere il palco con gli stessi Skynyrd oltre che con altre grandi artisti come Blackberry Smoke, The Outlaws e Kid Rock tra gli altri. E proprio i Blackberry Smoke potrebbero essere un termine di paragone calzante per i quattro di Natchez, come dimostrato dal brano d’apertura “Southern Discomfort” , un brano dotato di un riff roccioso a cui si aggiungono armonica e l’hammond di Dane Farsworth per un risultato finale ottimo. A seguire troviamo “Anything You Want” con un approccio molto vicino ai The Black Crowes dei primi album, grandi melodie e una prova maiuscola di McCready ne fanno uno dei pezzi migliori del disco. “Right There With Me” ci catapulta nel profondo sud degli States, se avete apprezzato il primo disco dei Magpie Salute amerete questo pezzo, come del resto anche la successiva “Devil is a Woman”, stupendo affresco di un sound immortale in cui McCready fa venire fuori la sua anima più blues, una ballata malinconica che non può non può ricordare le atmosfere di “Southern Harmony ” dei già citati corvi di Atlanta. “Shine” viene arricchita da sassofono e tromba ed è stata scelta come singolo, un pezzo trascinante che conferma l’attitudine di una band giovane sì ma con le idee già ben chiare. Degne di menzione sicuramente anche la notturna “Silver Street”, “Makin’ It”, ballata dai toni soffusi e delicati e la conclusiva “Alabama”, un viaggio alle radici del blues dove tutto è cominciato. Se qualcuno vi dice che il southern rock è ormai morto non dateci peso, band come i Bishop Gunn sono qui a dimostrare l’esatto contrario. Al momento uno dei più bei dischi di questo 2018.