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TRENCH DOGS – Year of the Dog

C’è stato un tempo in cui lo sleaze rock ( o hair metal come qualcuno lo chiama oggi ) dominava le classifiche musicali di mezzo mondo, band come Guns n’ Roses, Motley Crue, Poison e decine di altri nomi minori avevano conquistato il cuore del pubblico del rock, in un’esplosione di colori, voglia di vivere e di fare casino, lasciando ad altri il compito di fare del rock un veicolo di comunicazione politico/sociale. Party, ragazze, macchine veloci…temi “facili” che però alcune volte nascondevano anche un disagio di fondo, derivato magari da una gavetta dura, di privazioni importanti. Poi con l’arrivo degli anni ’90 tutto cambiò, la scena di Seattle prese il sopravvento e il genere conobbe anni veramente molto bui. Poi agli inizi del nuovo millennio, un manipolo di band scandinave, capitanate da nomi come Hardcore Superstar, Backyard Babies, Gluecifer, Hellacopters e molti altri, riportò lo sleaze rock ( o più semplicemente il rock’n’roll ) all’attenzione del grande pubblico. Da lì la scena scandinava ha partorito tutta una serie di gruppi che negli ultimi anni hanno sempre tenuto alta la bandiera del genere, seppure tra alti e bassi. In questo contesto si infilano pefettamente i Trench Dogs, che dopo un mini album uscito nel 2015 e diventato subito oggetto di ricerca frenetica da parte degli appassionati, pubblicano adesso il loro disco d’esordio sotto forma di auto produzione.

Sono 11 le canzoni che compongono “Year of the Dogs”, che diciamolo subito, mantiene tutte le promesse che l’ep sopra citato aveva fatto intravedere. A cominciare dal look per finire con la produzione e il songwriting , tutto ci riporta tra la metà e la fine degli anni ’80, e se pensiamo che probabilmente in quegli anni questi 5 ragazzi non erano ancora nati o al massimo frequentavano la scuola materna la cosa lascia piacevolmente stupiti. Canzoni come “Homesick Parade”, “Montenegro” o “Rattlin’ Bones” sono quando di più vicino a quella scena mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni. Ma attenzione, questa mia considerazione non vuole essere negativa, tutt’altro, perche per chi come me è cresciuto con quel tipo di sonorità troverà questo disco assolutamente irresistibile. La voce del cantante Andy Hekkandi ricorda non poco quella di Davy Vain, e proprio i Vain insieme ai Faster Pussycat, i Dogs D’Amour e perchè no anche i seminali Hanoi Rocks sono credo tra le maggiori influenze del quintetto scandinavo. Ottimo il lavoro della coppia di chitarristi Spiders / Mattias Johansson, che disegnano trame “classiche” ma di grande impatto, che lasciano spazio a ritornelli vincenti come nel caso di “Forgotten Melodies” e “Bad Luck Berlin”, davvero molto vicina ai migliori Vain di “No Respect”. “Leather and Flowers” è una ballata che si nutre delle atmosfere decadenti care ai Dogs D’Amour del buon Tyla, mentre “The Gin Beat” è un fantastico pezzo di puro glam rock d’epoca. Insomma, se vi piace il genere questo è un disco da prendere senza esitazione alcuna, sarà davvero difficile qualcuno possa far meglio in questo 198….ops, 2018…:)

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