“Victory” è il quinto album da studio dei White Widdow, formazione australiana formata nel 2008 dai fratelli Millis, Jules alla voce e Xavier alle tastiere, a cui si aggiungono Enzo Almanzi alle chitarre, Ben Webster al basso e Gavin Hill alla batteria.
Come i precedenti dischi anche questo esce su AOR Heaven, l’etichetta tedesca che nell’ultimo decennio ha messo sotto contratto tante realtà medio-piccole dedite a questo tipo di sonorità, ovvero l’AOR o melodic rock che dir si voglia. Sono dieci le canzoni che compongono questo nuovo lavoro del quintetto australiano e che fin dalla copertina che ricorda non poco quella del debut album continuano sul sentiero tracciato fin qui, fatto di grandi melodie e rimandi alle più conosciute band di settore. Partendo infatti dal presupposto che i White Widdow non inventano nulla ( ma è ormai difficile per chiunque farlo ), l’album è gradevolissimo, merito soprattutto di Jules Millis, visto per un periodo anche nel glamster britannici Tigertailz, cantante sopra la media e adattissimo al genere proposto dai nostri. Grande peso nel sound dei cinque da Melbourne lo ricoprono le tastiere suonate dal fratello Xavier, che donano al tutto quell’aurea anni ’80 che da sempre pervade la musica dei nostri. Si comincia con la title track, brano forse tra i più anonimi del disco, non brutto ma che non lascia molto anche dopo diversi ascolti, al contrario della doppietta seguente “Fight For Love ” e “Second Hand Heart”, ottimi brani di melodic rock , dotati di cori ariosi e facilmente memorizzabili, soprattutto “Second Hand Heart”, scelto anche come singolo e che rimanda ai connazionali The Radio Sun, che da un punto di vista assolutamente personale rimangono al momento una spanna sopra i White Widdow. “Late Night Liason” è clamorosamente anni ’80, qui la lezione di band come House of Lords o White Sister è stata assimilata molto bene, come del resto anche in “Reach Up” che rimanda ai Survivor. Da ricordare anche la ballata “Anything”, pezzo quasi interamente per voce e tastiere in cui Jules da il meglio di se, e la sbarazzina “America” , tra Danger Danger e Trixter. Un buon disco, a mio avviso leggermente penalizzato da una produzione un po’ piatta , che in alcuni momenti toglie spinta alle canzoni, in un genere che da sempre necessita di produzioni scintillanti per poter dare il meglio di se.